Perché alcuni hanno lo spirito dell’avventura e altri no

gene dell'avventura

Il prossimo anno Alex Bellini si farà catapultare su un iceber alla deriva da qualche parte attorno alla Groenlandia, e ci resterà fino al completo scioglimento. Proprio in questi giorni invece Danilo Callegari sta affrontando tutte le difficoltà del suo Africa Extreme, il progetto di nuotare 50km nell’Oceano Indiano, correre 27 maratone in 27 giorni dalla costa alle falde del Kilimanjaro e poi scalare la più alta montagna d’Africa in totale autonomia.

E ancora Mauro Prosperi, l’uomo sopravvissuto a nove giorni di Sahara mentre stava correndo la Marathon des Sables nel 1994, disperso e senza rifornimento a 299 km di distanza dalla meta che doveva raggiungere.

Sono solo 3 esempi, e di quelli con cui abbiamo parlato direttamente, di persone che hanno messo l’avventura al centro della loro vita, e la ricerca dello sconosciuto, dentro e fuori di sé, come stella polare della loro esistenza.

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I brividi dell’avventura sono “pop

E poi basta pensare a quanto l’avventura e l’estremo fanno presa sull’immaginario collettivo e popolare: la mostra di fotografie dai grandi spazi di Walter Bonatti sta riscuotendo successi ovunque, da Milano al Forte di Bard e fino a Roma; Everest, il film sulla tragica spedizione del 1996 sulla montagna più alta del mondo basato sul libro Aria Sottile di Jon Krakauer è stato campione di incassi al botteghino secondo solo a Inside Out; il mito di Chris McCandless e della sua storia raccontata in Into the Wild porta ogni anno migliaia di persone a mettersi nei guai in viaggi pericolosi verso il Magic Bus; e ancora film come Wild con Reese Witherspoon o Una passeggiata nei boschi dal libro di Bill Bryson coinvolgono produzioni hollywoodiane e rassegne come il Banff o l’European Outdoor Film Tour fanno il tutto esaurito a ogni tappa.

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Cosa spinge le persone all’avventura?

Insomma, l’avventura affascina, coinvolge, spaventa e intriga. Sia chi la vive in prima persona che chi la vive di riflesso attraverso libri, film, racconti e testimonianze. Ma cosa spinge tutte queste persone a mettere a repentaglio la propria vita per andare alla scoperta di terre inesplorate, superare i propri limiti fisici, sconfiggere le paure e inoltrarsi nell’ignoto, fisico e psicologico? E perché, dall’altra parte, mai come oggi una enorme quantità di persone vivono vite in cui anche solo l’imprevisto non è contemplato? Che cosa li distingue gli uni dagli altri?

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Rischi e paure sono nel nostro cervello

Secondo il professor John W Vanmeter, neuroscienziato della Georgetown University, la spiegazione risiede in un diverso sviluppo di due specifiche aree del nostro cervello e delle loro interrelazioni.

Il Sistema Limbico sarebbe quello che ci spinge alla ricerca dello sconosciuto e sensibile alle risposte dagli stimoli positivi e negativi delle esperienze che viviamo.

La Corteccia Prefrontale dall’altra parte è la regione del cervello implicata nella presa delle decisioni e nella moderazione dei nostri comportamenti, sociali e individuali.

Secondo il professor Vanmeter chi è spinto all’avventura ha maggior attività cerebrale nel Sistema Limbico, chi si ferma molti passi prima di scoprire l’ignoto ha invece una maggior attività nella Corteccia Prefrontale.

E soprattutto le sinapsi tra le due regioni cerebrali variano da persona a persona, rendendo ciascuno di noi assolutamente unico e diverso dagli altri.

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Esplorare o sfruttare?

Non solo: a marcare la differenza tra avventurosi e pavidi entra in gioco anche la dopamina, un neurotrasmettitore prodotto in diverse aree del cervello e rilasciato soprattutto a fronte di stimoli che producono motivazione e ricompensa.

Secondo il professor Paul Phillips, docente di psicologia e farmacologia alla University of Washington, ci sarebbe un legame diretto tra alti livelli di dopamina e l’istinto ad affrontare rischi per andare oltre i propri limiti: se normali livelli di produzione di dopamina non intaccano il desiderio di sicurezza e controllo (quello che sostanzialmente ci fa rimanere nella nostra comfort zone), l’euforia derivante da grandi imprese produce invece grandi quantità di dopamina, inducendo a rinnovare quelle sensazioni attraverso comportamenti sempre più spinti verso il limiti.

Secondo il professor Philips e la sua teoria dell’Exploit vs Explore tutto questo deriverebbe dai meccanismi indotti dal nostro sviluppo ancestrale. Quando eravamo cacciatori raccoglitori e le nostre azioni erano spinte dalla ricerca di cibo e riparo, il dilemma era sostanzialmente quello se fermarsi a sfruttare una zona che offriva sufficiente nutrimento oppure proseguire alla ricerca di aree ancora più generose.

Insomma, secondo il professor Philips, l’umanità si dividerebbe tra chi si accontenta di ciò che ha trovato e lo sfrutta fino alla fine e chi invece è sempre alla ricerca di qualcosa di più, di diverso e di migliore, anche a costo di correre dei rischi (fosse solo quello di non trovare nulla).

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Credits photo: Unsplash / Jordan McQueen

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