Aneddoti e racconti su quanti pochi battiti facesse il cuore di atleti come Fausto Coppi (si dice meno di 40 volte al minuto), Lance Armstrong (una trentina) o Alex Schwazer (addirittura 28 al minuto rispetto a una sessantina delle persone ‘normali’) sono ormai passati dalla cronaca alla storia, ed è ormai altrettanto riconosciuto da tutti, medici, preparatori e atleti che praticare regolarmente sport di resistenza come il ciclismo, la corsa a piedi su lunghe distanze, il triathlon o lo sci di fondo riduce sensibilmente la frequenza cardiaca.
Bradicardia e cuore d’atleta: perché ce l’hanno sciatori di fondo, ciclisti, maratoneti
Si tratta del fenomeno della bradicardia, un adattamento del tutto naturale e che normalmente è anche benefico, perché migliora l’efficienza contrattile del cuore e in buona sostanza lo fa funzionare meglio, sia durante l’attività fisica che a riposo.
Ma è anche noto a tutti, in letteratura scientifica come nel comune sentire, che praticare intensi sport di resistenza per lunghi periodi (si parla di anni, se non decenni) possa dar luogo in alcuni soggetti a taluni disturbi cardiaci: per esempio le aritmie, più frequenti negli atleti anziani e che spesso richiedono l’impianto di un pacemaker.
Ciò che non era ancora chiaro sono i motivi dell’insorgenza della bradicardia: poiché il ritmo cardiaco è controllato dal sistema nervoso simpatico e parasimpatico, e poiché il primo accelera il ritmo cardiaco, si presumeva di conseguenza che la diminuzione del numero di battiti del cuore al minuto negli atleti di sport di resistenza fosse dovuta a un aumento dell’attività del nervo vago del sistema nervoso parasimpatico. Maggior tono vagale = minor numero di battiti cardiaci.
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Fare sport di resistenza rimodella il cuore
Ora uno studio condotto dall’Università di Manchester e dal Dipartimento di Bioscienze della Statale di Milano e pubblicato su Nature Communications parrebbe dimostrare come in realtà il cuore d’atleta sia conseguenza di un vero e proprio rimodellamento del muscolo cardiaco.
L’esperimento è stato condotto su dei roditori e attende la verifica sugli esseri umani, tuttavia la differenza tra topi ‘allenati’ e topi ‘sedentari’ starebbe nella modificazione della corrente che controlla la generazione e la frequenza del ritmo cardiaco: la corrente funny, o corrente del pacemaker. L’allenamento di resistenza modificherebbe a livello molecolare i canali che permettono il funzionamento di questo meccanismo, determinando sul breve periodo l’effetto bradicardico e sul lungo periodo le modificazioni responsabili delle aritmie cardiache in atleti di età avanzata.
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Correre, sciare e pedalare fa bene alla salute
Tutto ciò ovviamente non significa che fare sport di resistenza sia pericoloso in sé. Anzi, una costante attività fisica, anche di resistenza, migliora l’efficienza cardiaca e permette di mantenere sotto controllo il peso (altro fattore di stress per il cuore). Se i risultati dello studio effettuato fra Manchester e Milano saranno confermati anche sugli umani, probabilmente sarà più chiaro il modo in cui preservare la salute cardiovascolare degli atleti, anche anziani.
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