Si è aperta oggi a Parc des Expositions Paris le Bourget, Parigi, la 21^ Conferenza delle parti per la lotta ai cambiamenti climatici (Cop21), il meeting dei capi di stato e di governo sul clima e sul riscaldamento globale.
Nonostante lo scetticismo che circonda sempre questi enormi incontri internazionali, ci sono molti buoni motivi per seguire con attenzione l’andamento dei lavori. Primo fra tutti il fatto che dal documento finale che verrà ratificato deriveranno conseguenze che ci riguardano molto da vicino.
I cambiamenti climatici esistono e sono colpa dell’uomo
Questo punto è stato stabilito fin dal primo “Summit della Terra” che si tenne nel 1992 a Rio de Janeiro, in Brasile: la Unfccc (United Nations Framework Convention on Climate Change) o Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici stabilì l’obiettivo di “raggiungere la stabilizzazione delle concentrazioni dei gas serra in atmosfera a un livello abbastanza basso per prevenire interferenze antropogeniche dannose per il sistema climatico“.
Da questa prima, burocratica, assunzione derivò 5 anni dopo il più celebre Protocollo di Kyoto, firmato da più di 180 Paesi in quell’occasione ed entrato in vigore solo il 16 febbraio 2005, dopo la ratifica anche da parte della Russia: il Protocollo di Kyoto vincolava nel periodo 2008-2014 a una riduzione delle emissioni di una serie di gas serra inquinanti in una misura non inferiore all’8,65% rispetto alle emissioni registrate nel 1985.
Contenere entro +2°C l’innalzamento della temperatura sulla Terra
+2°C da qui al 2100 è l’innalzamento massimo di temperatura che la Terra può sopportare senza che avvengano cambiamenti irreversibili del clima sul nostro pianeta. Cambiamenti che potrebbero portare a conseguenze come l’aumento della frequenza e dell’intensità delle alluvioni disastrose, lo scioglimento dei ghiacciai e l’innalzamento del livello dei mari.
Il limite è stato fissato in occasione della Cop15 di Copenhagen nel 2009 e ratificato l’anno successivo a Cancun, Messico: benché ci siano pareri scientifici discordanti (c’è chi limiterebbe a 1.5°C l’aumento massimo della temperatura, e chi invece inserirebbe anche altri parametri oltre al solo aumento dei gradi sulla Terra) per raggiungere l’obiettivo bisognerebbe ridurre le emissioni di CO2 tra il 40 e il 70% entro il 2050 e conquistare le emissioni zero (carbon neutrality) entro il 2100.
A Parigi sono rappresentati il 95% della popolazione e il 94% delle emissioni globali
Numeri freddi, ma numeri importanti: alla Cop21 di Parigi sono presenti 179 Paesi in rappresentanza della quasi totalità della popolazione e delle emissioni mondiali: obiettivo della conferenza francese sarà ratificare e rendere operative le Indc (Intended national determined contribution) o promesse di riduzione dei gas serra e inquinanti.
Alla data del 1 ottobre erano state presentate 149 Indc per 176 nazioni (l’Unione Europea ha presentato un documento comune) con le azioni che ciascun paese (o Unione come nel caso della UE) intende mettere in atto a partire dal 2020 per raggiungere gli obiettivi della Convenzione quadro.
La vera partità si giocherà in funzione della firma dell’11 dicembre, a fine lavori: in quella data sapremo se gli Indc saranno vincolanti oppure no.
Climate finance, 100 billion goal e Green Climate Fund
Tra le misure finalizzate alla riduzione delle emissioni di gas serra e al contenimento dell’innalzamento della temperatura sul nostro pianeta ce ne sono alcune anche di natura finanziaria chiamate in gergo “climate finance”. Tra queste c’è anche la cosiddetta 100 billion goal, un accordo ancora da ratificare secondo il quale a partire dal 2020 i Paesi più ricchi e industrializzati indirizzeranno 100 miliardi di dollari l’anno verso il finanziamento di azioni di contrasto ai cambiamenti climatici.
Secondo un rapporto dell’OECD reso pubblico a Ottobre nell’incontro di Lima, in Perù, nel 2014 sono stati mobilizzati circa 62 miliardi di dollari (contro i 52 del 2013), per il 70% da finanze pubbliche e per il 25% da finanze private.
Secondo Laurent Fabius, presidente di Cop21 e Ministro degli Affari esteri francese:
The goal of $100 billion per year by 2020 now seems to be within reach.
Fonte: cop21.gouv.fr
Il Green Climate Fund invece, frutto dell’Accordo di Cancun Cop16 del 2010, è l’organo internazionale incaricato del trasferimento di fondi e tecnologie dai paesi sviluppati a quelli in via di sviluppo per l’implementazione di politiche rivolte alla riduzione delle emissioni inquinanti. Nelle intenzioni dell’Accordo di Cancun dovrebbe essere l’attore principale per il raggiungimento del 100 Billion Goal.
A Parigi si troverà un accordo?
Benché circoli già una bozza di accordo sottoscritta il 23 ottobre a Bonn, in Germania (qui il draft ufficiale) i dubbi sul buon esito della Cop21 sono molteplici.
Principalmente il fatto che, finora, i paesi industrializzati che hanno assunto impegni vincolanti a partire da Kyoto riguardano appena il 37% delle emissioni globali, e tra questi non ci sono né gli Stati Uniti né la Cina.
John Kerry, segretario di Stato Usa, ha dichiarato al Financial Times il 12 novembre che:
Any agreement in Paris is definitively not going to be a treaty
Come scritto dall’analista di politica internazionale Bernard Guetta dalla parte di Kerry ci sono i Repubblicani e le lobby industriali USA, ma non il presidente Obama, il cui mandato scade tra un anno e che ha dalla sua l’opinione pubblica a stelle e strisce. La volontà presidenziale potrebbe anche saldarsi a quella della Cina, altro grande Paese inquinante ed energivoro che però avrebbe capito il rischio di avvelenare le proprie megalopoli con i conseguenti rischi di contestazione politica.
Trait d’union tra USA e Cina potrebbe essere proprio l’UE, che invece spinge fortemente per un accordo vincolante e che potrebbe trovare il sostegno di Australia e Canada. A frenare una firma vincolante invece ci sarebbero Brasile, Giappone e Russia, per i quali però entreranno in gioco anche considerazioni geopolitiche (così come per l’Arabia Saudita). E infine c’è l’incognita dell’Africa e dell’India, due realtà in bilico tra l’interesse per il sostegno finanziario (100 billion goal e Green Climate Fund) e desiderio di sviluppo industriale incontrollato.
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