Che cos’è la passione per il ciclismo? Come si spiega quella cosa che ci attira verso il mondo delle due ruote e ci spinge a toccare qualsiasi sua rappresentazione? Come si possono classificare gli interessi di chi va in bici? Domande alle quali abbiamo provato a dare risposta, settimana scorsa, dopo aver visto centinaia di persone restare in ordinata attesa del proprio campione alla inaugurazione del Trek Concept Store di Roma, già noto ai capitolini come Cycle’n’Cycle.
L’uomo di tante attenzioni è stato Alberto Contador, lo spagnolo vero mattatore delle grandi corse a tappe, uno dei pochi ad aver vinto Giro d’Italia, Tour de France e Vuelta Espagna. Quando correva lo chiamavano “el pistolero” perché se vinceva tagliava il traguardo mimando un colpo di pistola, e il logo della sua fondazione sono proprio due mani stilizzate a forma di revolver, il tutto sottolineato da un hashtag facilmente traducibile: #QuererEsPoder. Potenza del marketing, ma non solo, perché il madrileno una volta smessi i panni del corridore ha avviato la Fundacion Contador dove alleva giovani ciclisti da lanciare nel professionismo della bicicletta.
Il suo braccio destro è Ivan Basso che di giri d’Italia ne ha vinti ben due: «Io e Alberto vogliamo restituire ai giovani le opportunità che il ciclismo ci ha dato – sottolinea il varesino che del Team Polartec Kometa, nato dalla fondazione, è il direttore sportivo – e non sappiamo se troveremo dei grandi campioni, ma certamente lavoriamo per costruire degli uomini adulti e delle brave persone».
Intanto Alberto si aggira per il negozio e scatta foto con il cellulare che posta sui social e che archivia in cartelle sullo smartphone: «Mi servono come spunti e idee per il futuro, perché il ciclismo non solo è stato la mia vita, ma lo sarà anche per il futuro: a me piace pedalare, in sella sto bene, anche adesso che non mi devo più allenare – sottolinea il pistolero – e poi io amo l’Italia, il vostro stile…non c’è bisogno di dirlo: il vostro Paese mi ha dato tanto».
Mentre conversiamo con i due ex professionisti la calca della gente aumenta: sono le otto di sera ma già da metà pomeriggio nel parcheggio del negozio si aggiravano gruppi di tifosi con maglie, cartoline, borracce e cimeli di varia natura da far autografare ai propri idoli.
Già, il ciclismo è questo: è uno sport dall’elevata replicabilità e massima vicinanza, che ti consente di essere a un metro di distanza dal tuo campione quando lui sta gareggiando e scrivendo la storia delle due ruote e di tornare a pedalare sulla stessa salita quando piace a te o ai tuoi amici. È come se fosse possibile stare in area di rigore a San Siro quando Cristiano Ronaldo calcia un rigore contro il Milan o l’Inter, e tornare nello stadio della Madonnina a fare una partitella tra scapoli e ammogliati senza dover chiedere le chiavi al custode. Il ciclismo in questo è davvero unico, in tutte le sue declinazioni: dalla bici da strada in carbonio aeronautico alla mountain bike super ammortizzata, da quella da bambino (per anni la bicicletta è stata il secondo regalo più desiderato dai bambini, dopo il pallone) alle nuove proposte di e-bike, ovvero le biciclette a pedalata assistita.
Un’offerta ampia quella del ciclismo moderno che spesso non ha compartimenti stagni tra i suoi praticanti: «Vero, gli appassionati hanno molto spesso varie biciclette in garage, a testimonianza della trasversabilità del pedale: si passa dalla strada all’off-road in base alla circostanza, al meteo, alla compagnia, al tempo a disposizione – commenta Davide Brambilla general manager di Trek Italia – ed è per questo che è sempre più importante mettere in vetrina ciò che il mercato offre».
A testimoniare l’altra metà del cielo del ciclismo, quello fatto di polvere e fango, c’erano anche i fratelli Alex e Danny Lupato (campioni italiani di enduro…) e Paola Pezzo, la ragazza veronese che ad Atlanta 1996 vinse l’oro nella mountain bike e si ripeté quattro anni dopo anche a Sydney. «La bici è stata la mia vita, e anch’io come Alberto e Ivan ho voluto restituire alle nuove generazioni ciò che la vita sportiva mi ha dato – racconta Paola – e così ho creato una scuola di mountain bike per bambini a Valeggio sul Mincio, proprio in quel paese dove mi ero trasferita per due anni ad allenarmi perché aveva la stessa umidità di Atlanta» ma non le stesse zanzare ci ha detto sottovoce.
Mentre chiacchieriamo con gli ambassador del brand americano, le persone passeggiano per i tre piani del monomarca Trek della capitale, in attesa che Alberto e gli altri ospiti si palesino sul piccolo palco e, soprattutto si concedano all’affetto di chi è qui da tre e più ore.
Ad un certo punto eccolo, sbuca da una porta che da’ sul retro, l’ovazione fa tremare le mountain bike esposte: da questo momento in poi saranno centinaia di selfie, altrettanti autografi, decine di pacche sulle spalle, domande fugaci e risposte di circostanza: la vita del campione e ancor di più quella di un mito, è davvero dura. Ma anche piacevole. La security ha un bel daffare a tenere a bada l’impeto degli appassionati. «No te preocupes… » mi dice Alberto, uno che è abituato al rapporto col pubblico: i suoi autografi sono precisi, curati, dettagliati. Un distinto signore in giacca e cravatta gli pone un cappellino da ciclista del team Trek Segafredo: il colore dominante è nero e l’autografo non si vedrebbe. «Dónde está el marcador blanco?». Già, dov’è il pennarello bianco? Dettagli che fanno la differenza tra un atleta forte e un campione unico.
E la saga degli incontri one-to-one prosegue. Contador si concede a un gruppo di ragazzini romani vestiti con le maglie della loro squadra che sgranano gli occhi quando si mette in mezzo a loro, non disdegna ciclisti in pensione da oltre vent’anni che lo abbracciano commossi, persino un paio di mamme urlanti con la scusa delle creature che vogliono una foto col campione si stringono ad Alberto in modo molto affettuoso, avviluppate al limite del consentito.
Lo sport e i suoi derivati hanno questi episodi che di per sé non scrivono la storia di una disciplina, ma aiutano a rispondere alla domanda iniziale: che cos’è la passione per il ciclismo?
Foto @6Stili – Luigi Sestili
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