Un nuovo studio condotto da ricercatori dell’Università di Padova e dall’Ospedale di Vicenza, grazie ad un finanziamento regionale dal Consorzio per la Ricerca Sanitaria (CORIS) della Regione Veneto, ha messo in luce come l’esposizione prolungata ai PFAS possa alterare il metabolismo osseo modificando i livelli di calcio. Pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale Chemosphere, lo studio ha coinvolto 1.174 adulti provenienti da un’area da decenni interessata da contaminazione delle acque potabili.
PFAS e osteoporosi
I PFAS, utilizzati in numerosi prodotti industriali e di consumo, sono al centro di crescente preoccupazione per la salute pubblica. “Una delle più frequenti manifestazioni cliniche riscontrate in soggetti esposti anche a bassi livelli di PFAS è l’osteoporosi, una maggior fragilità dell’osso tipica dell’invecchiamento ma che si può già manifestare in giovane età laddove si sia esposti anche a basse concentrazioni di queste sostanze”, spiega il professor Carlo Foresta, coordinatore dello studio.
Precedenti studi dell’equipe del professor Foresta avevano infatti dimostrato, tra i primi a livello internazionale, una riduzione della densità ossea già clinicamente rilevata in diciottenni dell’area rossa del Veneto. “Successivamente abbiamo spiegato questo effetto dimostrando un’attività negativa dei PFAS sul recettore della vitamina D, ormone che favorisce la calcificazione dell’osso e l’assorbimento intestinale del calcio dalla dieta, nonché un deposito di queste sostanze nell’idrossiapatite, la principale componente inorganica dello scheletro dove lega il calcio stesso favorendo la solidità ossea”, prosegue Foresta.
Concentrazioni più alte di PFAS nel sangue aumentano il calcio circolante
In questo studio, i ricercatori hanno quindi misurato i livelli di PFAS, calcio, vitamina D e paratormone nel sangue di 655 uomini e 519 donne di età compresa tra i 20 e i 69 anni dell’area rossa del Veneto e hanno scoperto che soggetti con concentrazioni più elevate di PFAS presentavano anche livelli di calcio aumentati. Lo studio ha coinvolto ricercatori tra Padova, Vicenza e Napoli ed è il risultato di quattro anni di lavoro.
“Un aumento del calcio circolante può essere dovuto a un aumentato assorbimento intestinale mediato dalla vitamina D, a un aumento del paratormone, oppure a un maggior rilascio di calcio dai siti di deposito. E il più grande deposito di calcio del corpo umano è proprio lo scheletro”, spiega il professor Andrea Di Nisio, primo autore dello studio. “Poiché nel nostro studio vitamina D e paratormone non sono modificati, i nostri risultati dimostrano che l’aumento di calcio, anche se ancora entro il range di normalità, può essere segno di un’interferenza dei PFAS a livello dell’osso, dove, ricordiamo, i PFAS si accumulano in abbondanza. Un recente studio ha infatti dimostrato che i PFAS inducono un aumento dell’attività degli osteoclasti, le cellule dello scheletro deputate al riassorbimento di tessuto osseo, con conseguente liberazione di calcio e riduzione della densità dell’osso.”
Dall’impatto ambientale a quello sulla salute
Questo studio si inserisce in un contesto di crescente attenzione verso l’impatto ambientale dei PFAS, anche alla luce delle recenti evidenze della presenza di questi inquinanti su tutto il territorio nazionale. La contaminazione delle acque nel Veneto, iniziata diversi decenni fa, ha reso evidente come un problema localizzato possa trasformarsi in una questione di salute pubblica, sollecitando ulteriori ricerche e interventi preventivi.
“I nostri risultati ci spingono a riflettere su come un’esposizione prolungata a PFAS, anche se invisibile, possa avere ripercussioni sulla salute a lungo termine”, conclude il professor Foresta. “Abbiamo dimostrato che la ben nota associazione tra PFAS e osteoporosi, ormai dimostrata a livello internazionale, non è tanto mediata da una riduzione di vitamina D, quanto da un’azione diretta dei PFAS sull’osso con conseguente liberazione di calcio”.
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Lo studio
Lo studio è stato finanziato nel 2021, approvato dal comitato etico nel 2022, e da fine 2022 a giugno 2023 sono stati reclutati i pazienti, tutti residenti nei comuni dell’area rossa della provincia di Vicenza. L’ospedale di vicenza ha effettuato i prelievi e raccolto i questionari anamnestici, l’Arpav ha fatto i dosaggi dei Pfas. L’obiettivo di questo studio era di valutare la possibile associazione tra l’esposizione ambientale ai PFAS e i livelli di vitamina D (VitD), calcio sierico e ormone paratiroideo (PTH) in soggetti residenti in un’area ad alta esposizione della Regione Veneto in Italia. In questo studio osservazionale trasversale, 1174 soggetti che avevano precedentemente aderito al Piano di Sorveglianza Regionale 2016-2018 per i livelli plasmatici di PFAS sono stati richiamati nel 2023 e valutati per dati demografici, antropometrici e analisi del sangue. I dati sulle abitudini alimentari e l’integrazione di VitD sono stati ottenuti tramite un questionario dedicato. Le concentrazioni sieriche di PFAS, calcio, 25-idrossi-vitamina D (25OH-VitD) e PTH sono state determinate da campioni di sangue. L’acido perfluoroottanoico (PFOA), il perfluoroottanosolfonato (PFOS) e l’acido perfluoroesansolfonico (PFHxS) sono stati gli unici tre PFAS, su 12, quantificabili in almeno il 90% dei campioni e considerati per ulteriori analisi. I modelli additivi generalizzati, utilizzando la regressione lineare e le spline di piastra sottile di smoothing, hanno rilevato un’associazione positiva tra il calcio sierico e tutti i PFAS considerati (PFOA: β = 0.03; IC 95% 0.01–0.06; PFOS: β = 0.06; IC 95% 0.02–0.09, PFHxS: β = 0.04; IC 95% 0.01–0.06). L’analisi dei gradi di libertà stimati (EDF) ha mostrato l’associazione approssimativamente lineare tra il calcio sierico con PFOA (EDF = 1.89) e PFHxS (EDF = 1.21), ma non per PFOS (EDF = 3.69). Diversamente, i livelli di PFAS non hanno mostrato alcuna associazione con la 25-idrossi-vitamina D o il PTH, ad eccezione della 25OH-D trasformata in logaritmo naturale e del PFOS (β = 0.04; IC 95% 0.00–0.08). Le analisi stratificate hanno confermato l’associazione positiva tra tutti i PFAS considerati e il calcio nei soggetti che non assumevano integratori di VitD. I risultati mostrano che alti livelli di esposizione ai PFAS possono interferire con il metabolismo del calcio, indipendentemente dallo stile di vita e dai fattori dietetici. Ulteriori chiarimenti sui meccanismi alla base della rottura dell’omeostasi del calcio, inclusi i legami multipli-equilibrio con l’albumina sierica, devono ancora essere affrontati
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