“Qualcuno pensava che i neri non possono nuotare velocemente, che stupidaggine“: l’ha detto Sara Curtis qualche giorno fa dopo aver sgretolato i record italiani sui 50 e 100 metri stile libero, il secondo dei quali apparteneva a Federica Pellegrini. Ma ancor più del clamore dei tempi stampati al muretto, che la proiettano nel gotha mondiale di questa stagione del nuoto che conduce ai Mondiali in vasca lunga di Singapore (27 luglio-3 agosto), a far discutere sono state anche le dichiarazioni della 18enne nuotatrice piemontese: “Sono la prima campionessa di nuoto italiana nera, anzi mulatta. Non mi piace quando sento dire ‘di colore’, non ha senso, a parte che anche il bianco è un colore e poi nessuna pelle al mondo è bianca. Il razzismo? Lo sport abbatte i pregiudizi: c’era qualcuno che pensava che i neri non potessero nuotare velocemente perché avrebbero le ossa più pesanti, che stupidaggine” ha detto a Repubblica la ragazza nata a Savigliano (Cuneo) da padre italiano a madre nigeriana.
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C’è ancora qualcuno che pensa che i neri non possono nuotare velocemente?
“I neri nel nuoto sono svantaggiati per ragioni fisiologiche. Hanno una densità ossea più elevata rispetto ad altre popolazioni e una minor percentuale di tessuto grasso: perciò galleggiano meno facilmente. Inoltre, hanno una maggior percentuale di fibre muscolari “veloci”, quelle predisposte per gli sforzi rapidi e intensi, ideali per correre i 100 metri in 10 secondi o “schiacciare” la palla nel canestro. Nel nuoto invece la gara più breve, i 50 metri, richiede più di venti secondi” sono le pseudo spiegazioni, riassunte in un articolo di Focus, secondo le quali ci sarebbe una spiegazione etnica per il fatto che su un podio di una piscina si sono visti raramente atleti di colore. Con tanto di statistiche tautologiche secondo le quali “tutti i record del mondo del nuoto in vasca olimpica appartengono ad atleti bianchi. Per quanto riguarda invece i migliori sprinter di sempre, nei 100 metri, con tempi sotto ai dieci secondi troviamo appena tre atleti “non neri” su 124 totali”.
Cinesi, Indiani e Pakistani
Si diceva così anche dei cinesi, degli indiani e dei pakistani, quando Cina, India e Pakistan non facevano risultati olimpici o sportivi che nelle “loro” discipline, come ping pong o cricket. Poi i cinesi hanno cominciato a vincere a mani basse (al netto delle ombre di doping anche recenti), ora si sono messi a vincere anche India (il paese più popoloso al mondo a Parigi 2024 ha vinto 6 medaglie, nessuna d’oro, ma considerando la storia del paese alle Olimpiadi, il bilancio è comunque tra i migliori di sempre, al pari di Londra 2012 e con una medaglia in meno rispetto a Tokyo) e Pakistan (Arshad Nadeem, oro nel giavellotto proprio davanti all’indiano campione di Tokyo 2020 Neeraj Chopra) e sì, si sono messi a vincere anche i neri nel nuoto.
Simone Manuel
La prima è stata Simone Manuel, olimpionica nei 100 sl a Rio 2016, nata a Sugar Land, Texas, la terra delle piantagioni della canna da zucchero; prima di lei un solo nero aveva vinto un oro nella storia delle Olimpiadi, Anthony Nesty del Suriname, a Seul 1988, ma non viveva a Paramaribo, bensì si allenava in Florida, terra di piscine e nuotatori.
La verità è che la spiegazione è sociale ed economica, non etnica o fisiologica. Secondo un recente studio di USA Swimming il 70% dei bambini afro-americani non sa nuotare contro il 42% dei bambini bianchi e il 58% degli ispianici, e infatti il tasso di annegamento tra i bambini afro-americani è triplo rispetto a quello degli altri gruppi etnici.
Secondo Jeff Wiltse, storico dell’Università del Montana e autore di “A Social History of Swimming Pools in America”, le discriminazioni razziali che negli USA sono state abrogate solo nel 1964 dal Civil Rights Act “hanno fortemente limitato l’accesso dei neri americani” alle piscine e “il nuoto non ha quindi mai integrato la loro cultura ricreativa e sportiva, e non è stato trasmesso di generazione in generazione”. Basti pensare al fatto che agli schiavi era vietato imparare a nuotare perché questo avrebbe rappresentato un potenziale mezzo di fuga: e ancora fino a tempi recenti, se non a oggi, se c’è una via di fuga dai quartieri più svantaggiati, dove prevalentemente vivono minoranze afro-americane o ispaniche e dove non ci sono piscine pubbliche, è attraverso altri sport più facilmente accessibili, dal basket al football alla boxe.
Tennis e ciclismo
È lo stesso motivo per cui nonostante gli sforzi della USTA, il tennis al maschile negli Stati Uniti continua a essere egemonia dei circoli e incapace di produrre un degno erede di Arthur Ashe, ultimo americano di colore a vincere uno Slam, ormai quasi 50 fa (ma non del tennis femminile, che invece ha visto il dominio di Serena e Venus Williams).
Ci sarebbe anche l’Africa che non produce nuotatori di livello mondiale. Ma pur in assenza di statistiche ufficiali, non è difficile concordare sul fatto che di piscine pubbliche e programmi di avviamento al nuoto come sport ce ne sono pochi. Al contrario dell’atletica per esempio, dove il predominio degli atleti africani nella corsa su lunghe distanze è schiacciante (in particolare i runner dell’Africa orientale detengono complessivamente oltre il 90% dei record mondiali e ora gli atleti africani stanno diventando campioni anche di velocità), o del calcio, sport nel quale manca ancora un’affermazione di una nazionale africana in un Mondiale ma di campioni africani di primissimo livello ce ne sono da più 30 anni (proprio nel 1995 George Weah è stato il primo calciatore africano a vincere il Pallone d’Oro). O come il ciclismo, dove solo il 17 maggio 2022, l’eritreo Biniam Girmay è diventato il primo atleta nero africano a vincere una tappa in un Grande Giro, al Giro d’Italia.
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Insomma, alla fine ha davvero ragione la nostra Sara Curtis quando dice che “lo sport abbatte i pregiudizi: c’era qualcuno che pensava che i neri non potessero nuotare velocemente perché avrebbero le ossa più pesanti, che stupidaggine”: al netto del talento individuale, quando si parla di medaglie sportive bisogna sempre considerare anche gli aspetti socio-economici e quelli culturali.
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