Se cerchi su Google la parola “tempo” la prima cosa che esce sono le previsioni meteo. Se fai la stessa ricerca in lingua inglese con “time” il primo risultato è il sito del magazine americano, il secondo un servizio di ora esatta globale. Se cerchi “avere tempo” esce la coniugazione del verbo avere. Per il motore di ricerca che condiziona buona parte delle nostre vite ci sono significati più rilevanti rispetto all’idea di tempo come unità di misura dello scorrere degli eventi, o della sua interpretazione soggettiva. Cioè il tempo per sé o libero. Eppure c’è una pagina di Wikipedia che definisce il tempo come grandezza fisica fondamentale e unità di misura del modo in cui rappresentiamo e viviamo la successione degli eventi e del rapporto fra essi e con noi.
Great Resignation, Big Quit, Quiet Quitting: per avere più tempo
La Great Resignation, il Big Quit o il Quiet Quitting sono tendenze che serpeggiano con vigore nella società. Appena un anno fa, ad aprile 2022, nel 60% delle aziende italiane si assisteva al fenomeno delle dimissioni volontarie per decine di migliaia di persone (dati dell’Associazione Italiana Direzione Personale). Dati ora certificati dalle comunicazione obbligatorie: nei primi 9 mesi del 2022 le dimissioni dal lavoro sono state 1,6 milioni (fonte Ansa). Semplificando molto il fenomeno: la vita è troppo breve per passarla solo a lavorare molto.
E se a fare notizia sono le statistiche, ancor più la fanno le decisioni delle persone in vista. Jacinda Ardern, 42enne prima ministra della Nuova Zelanda, ha appena annunciato le proprie dimissioni dopo 5 anni alla guida del Paese. Il motivo? Stare più tempo con la figlia e il marito. Lo stesso sta pensando di fare Antonio Conte, allenatore di calcio italiano della squadra inglese del Tottenham. Non propriamente due persone che devono fare i conti a fine mese, certo, e però due persone che hanno dedicato energie, risorse e tempo per costruirsi una carriera. E ora, ancora giovani tra i 40 e i 50 anni e ancora potenzialmente performanti nei loro ruoli, pensano o mettono in atto una exit strategy per avere più tempo a disposizione.
Sarebbe contento Papa Francesco, che in un recente Angelus ha detto: “È facile attaccarsi a ruoli e posizioni, al bisogno di essere stimati, riconosciuti e premiati. E questo, pur essendo naturale, non è una cosa buona, perché il servizio comporta la gratuità, il prendersi cura degli altri senza vantaggi per sé, senza secondi fini, senza aspettare il contraccambio. Farà bene anche a noi coltivare, come Giovanni Battista, la virtù di farci da parte al momento opportuno”.
Il tempo è denaro?
Jim Rohn, imprenditore statunitense, autore e speaker motivazionale nonché uno dei pionieri del coaching, disse che “il tempo è il nostro asset principale, eppure tendiamo a sprecarlo o spenderlo anziché investirlo“.
Il nostro asset è composto da 86.400 secondi al giorno. È come se ogni giorno ci venisse fatto un bonifico di tempo che dobbiamo spendere e che non possiamo risparmiare o accumulare, perché a mezzanotte si azzera.
Per Jim Rohn il tempo era denaro e il suo focus era tutto manageriale: far fruttare al meglio il tempo dei manager per rendere loro e le aziende per cui lavorano più efficienti, produttivi, performanti. Era a tutti gli effetti un boomer definito dal suo lavoro in termini di presenza, visibilità, comando.
Ma Jim Rohn è morto nel 2009, all’inizio della crisi dei subprime e ben prima della pandemia, nonché di questa nuova sensibilità che germoglia tra gli ultimi Millennials e la Generazione Z ma intacca anche le certezze della Generazione X.
O è soggettivo?
Questa nuova sensibilità che chiede più work-life balance e meno benefit sembra recuperare l’idea soggettiva di tempo di Sant’Agostino, il tempo come “distensione dell’animo“. Nel lungo dibattito sul tempo nella filosofia e nella fisica, il vescovo e teologo vissuto tra il IV e il V secolo d.C. è il primo a introdurre la coscienza del tempo, il fatto cioè che il tempo abbia valore per come lo utilizziamo per noi stessi.
In Occidente tra V e VI secolo d.C. furono i monaci benedettini a dare una organizzazione rigida allo spazio e al tempo. La regola Ora et Labora nata per vincere l’accidia dell’ascetismo attraverso il cenobitismo, finì per scandire le ore non solo all’interno dei monasteri ma anche nelle campagne circostanti, definendo rigidamente un tempo per il lavoro, uno per la preghiera e lo spirito, e uno per il riposo.
Eppure una certa idea soggettiva del tempo la si ritrova anche in altre culture e civiltà ben prima della modernità. Scriveva Yamamoto Tsunetomo, filosofo e samurai giapponese vissuto tra Seicento e Settecento: “La vita umana non dura che un istante, si dovrebbe trascorrerla a fare ciò che piace. In questo mondo, fugace come un sogno, vivere nell’affanno è follia. Ma non rivelerò questo segreto del mestiere ai giovani, visto come vanno le cose oggi nel mondo, potrebbero fraintendermi” (la frase è stata resa pop nella citazione che ne fece il gruppo punk-rock dei CSI nella canzone Linea Gotica).
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La cosa più importante che puoi comprare è avere tempo
E invece i giovani – le Generazioni Y e Z – lo hanno capito benissimo che la cosa più importante che puoi comprare è avere tempo: “Life is very short, and there’s no time / For fussing and fighting, my friend” (We Can Work It Out – Beatles).
Uscirà il 10 febbraio 2023 per Treccani “Avere Tempo – Un Saggio di Cronosofia” del filosofo Pascal Chabot. Per Chabot noi oggi viviamo dominati da quattro regimi temporali in antagonismo tra loro: Fato (imperativo biologico della vita fino alla morte), Progresso (imperativo del futuro), Ipertempo (tirannia del presente e tecnocapitalismo: il tempo è ovunque da nessuna parte) e Scadenza (conto alla rovescia verso la catastrofe ecologica). È dal loro scontro che nasce la sensazione di non avere mai tempo, ed è solo chi riuscirà a costruirsi una saggezza del tempo in linea con il mondo in cui viviamo che potrà recuperare una dimensione soggettiva e di valore del tempo.
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