Quella del cibo biologico è una vera e propria ondata che sta rivoluzionando il settore alimentare sotto molti punti di vista. Per rendere l’idea, gli e-commerce italiani dedicati agli alimenti bio sono passati dai 147 del 2013 ai 344 del 2017, mentre i ristoranti bio sono cresciuti del 58,9% (Rapporto Bio Bank 2018). Fino a una decina di anni fa il cibo proveniente da agricolture o allevamenti biologici era considerato quasi di nicchia, basti pensare che il 45% di questi prodotti era venduto da piccoli negozi specializzati.
Si tratta quindi di un settore sempre più in crescita e che merita attenzione.
Che cos’è il cibo biologico
Il cibo biologico concerne tutti gli alimenti ricavati da agricolture e/o allevamenti di tipo biologico. Per quanto riguarda il primo caso, è un metodo di coltivazione che sfrutta la naturale fertilità del suolo in tutte le sue fasi. Nell’agricoltura biologica non si possono usare pesticidi, diserbanti e insetticidi di sintesi; sono vietati gli ogm (organismi geneticamente modificati) e le colture sono ruotate in modo tale da utilizzare in modo efficiente tutte le risorse. Un modo di ottenere cibo che rispetta l’ambiente e l’uomo.
Parlando di zootecnia biologica, il bestiame viene allevato all’aperto e nutrito esclusivamente con foraggio biologico. Negli allevamenti biologici in Europa, inoltre, è vietato somministrare agli animali qualsiasi tipo di antibiotico o ormone in via preventiva. Per quanto riguarda il pesce si considera bio solo quello allevato con particolari metodi di acquacultura (non è bio il pesce pescato in mare).
Comprare cibo biologico significa dunque fare un acquisto etico (nel rispetto della biodiversità e dell’ambiente) e portare sulla propria tavola dei prodotti naturali, privi di sostanze chimiche e capaci (in molti casi) di apportare maggiori benefici alla nostra salute.
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L’etichetta del cibo biologico
Un prodotto può vantare la denominazione bio (per esempio “crema alla nocciola bio”) solo se contiene almeno il 95% degli ingredienti ottenuti da metodi biologici. Questi alimenti sono contraddistinti dal logo comunitario bio, ossia la famosa foglia bianca fatta con le stelline su sfondo verde: dal 2010, grazie al regolamento UE numero 271, è obbligatoria.In etichetta, inoltre, devono comparire il codice dell’operatore-produttore controllato, il codice dell’organismo di controllo, l’elenco degli ingredienti e l’indicazione di origine delle materie prime (per esempio “Agricoltura ITALIA”, “Agricoltura UE”, “Agricoltura non UE”). Tutte queste informazioni devono essere riportare anche sulle confezioni dei prodotti sfusi di natura bio.
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I benefici e i prezzi (alti) del bio
Senza dubbio, mangiare cibo biologico vuol dire alimentarsi con prodotti naturali e dal minimo (se non assente) impatto ambientale. Ma quali sono le differenze sulla nostra salute? Questa domanda ha spesso diviso gli scienziati di ogni parte del mondo.
Uno dei più grandi studi sulla questione è stato condotto pochi mesi fa dall’Università di Newcastle, secondo la quale la verdura, la frutta e i cereali biologici contengono mediamente il 17% di antiossidanti (proteggono l’organismo dall’azione negativa dei radicali liberi) in più rispetto agli equivalenti non biologici. I numeri più alti sono stati associati alla presenza dei flavonoidi (+69%), in grado non solo di rinforzare il sistema immunitario, ma anche di proteggere il fegato e intervenire positivamente sulla microcircolazione sanguigna e linfatica.
Altre ricerche, però, non hanno trovato differenze così consistenti. E bisogna anche considerare che nelle agricolture biologiche non è escluso l’utilizzo di insetticidi naturali, che se usati in quantità eccessive fanno male alla salute quasi come quelli chimici. Mangiare solo bio, inoltre, può diventare insostenibile dal punto di vista economico: questi alimenti, secondo un’indagine della Federconsumatori (2018), costano mediamente il 40-50% in più rispetto a quelli ordinari, con picchi del +116% per le polpe di pomodoro e del +96% per la farina.
I prodotti biologici sono cari perché le rese produttive sono più basse (c’è una sorta di “premium price” per compensare la minor resa) e i costi di trasformazione e trasporto sono maggiori.
(Foto di copertina: Sponchia / Pixabay)
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