Valanghe, slavine, sistemi di ricerca con pala, sonda e artva o attraverso i mezzi di soccorso con i cani, tecniche di sopravvivenza, analisi del meteo e della qualità del manto nevoso: in questi giorni il lessico del Soccorso Alpino sta tristemente diventando linguaggio di uso corrente sui giornali e in televisione a causa delle ripetute notizie sulla valanghe che fino alla fine dell’inverno continueranno a cadere. La ragione è presto detta: i tempi moderni hanno portato un numero molto più alto di persone sui versanti della montagna rispetto a una volta anche se, allo stesso tempo, è aumentato – e di molto – il livello di sicurezza. Fondamentalmente, le valanghe o cadono su zone disabitate o vengono provocate artificialmente subito dopo una grande nevicata.
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Detto questo, ci siamo spaventati tutti a metà gennaio quando abbiamo visto le immagini di quell’incredibile nuvola di neve che, in conseguenza di una valanga fortunatamente fermatasi prima, ha inghiottito tutto il paese di Breuil-Cervinia. Nonostante l’imponenza del fenomeno, non c’è stato nemmeno un ferito al contrario di altre volte (per esempio i sei morti dello scorso weekend in Valle Aurina).
Il pensiero è corso immediato alle valanghe precedenti: come ci si può salvare da una valanga? Quanti danni può fare una valanga di grosse dimensioni? Quali sono state le valanghe più distruttive della storia?
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La montagna killer
Lo Huascarán, sulle Ande, è la montagna più alta del Perù e sfiora i 6800 metri. La stessa è stata lo scenario delle tre valanghe più peggiori di sempre: nel 1970, a seguito di un terremoto, si staccò un’intera fetta di montagna e milioni e milioni di tonnellate di neve e ghiaccio scivolarono con essa per 11 km portandosi dietro tutto. Oltre 20.000 furono le vittime che andarono a sommarsi alle 6000 scomparse nel 1941 attorno al vicino Lago Palcacocha e alle 4000 del gennaio 1962 per una altra valanga causata da un repentino innalzamento della temperatura.
Le sciagure in Italia
I primi dati storici sulle valanghe sul territorio italiano risalgono a 1836 quando ci furono 24 vittime in Val Belluna nel giro di pochi giorni. 88 furono i morti a Valprato Soana, in provincia di Torino, oggi all’interno del Parco Nazionale del Gran Paradiso, e sempre in Piemonte 81 furono i minatori uccisi nel 1904 dalla Valanga del Beth in Val Chisone.
Il numero di scomparsi più alto di sempre in assoluto si registra nell’inverno del 1916 quando i militari italiani e austriaci, impegnati negli scontri della Prima Guerra Mondiale sulle Dolomiti, furono costretti a vedersela con una serie infinita di valanghe causate da un inverno particolarmente nevoso arrivato all’improvviso: gli storici hanno calcolato in 10.000 le vittime tra le truppe alpine di entrambi gli schieramenti, tutte nel giro di pochi giorni di dicembre del 1916. 253 di queste videro la morte al fronte, sulla Marmolada.
Dopo che le valanghe continuarono a susseguirsi per giorni con una frequenza inquietante, un’intera caserma austriaca sotto la vetta del Gran Poz fu investita da 200.000 tonnellate di neve, roccia e ghiaccio il 13 dicembre di quell’anno. La foto sotto è di quell’anno. Ci sono fonti storiche che suggeriscono la tragica idea che alcune valanghe fossero state causate volontariamente dal nemico definendo la vera prima grande arma di distruzione di massa.
Gli inverni peggiori
Se l’inverno del 1951 si rivelò tragico con un totale di 46 vittime in Italia, 97 in Svizzera e 135 solo in Austria e se 40 furono i decessi in Italia nel 1987, non vanno dimenticati i fatti di Courmayeur che il 17 febbraio 1991 sul Pavillon vide 12 sciatori in pista travolti dalla neve mentre 17 alpinisti finirono a più riprese sotto una serie di valanghe nell’estate del 2000.
Le tragedie più gravi all’estero
In Austria ci furono oltre 380 vittime nel villaggio di Blons quando, tra il 10 e il 12 gennaio 1954, caddero 300 valanghe nell’arco di 48 ore. 38 furono i morti nel 1999 a Galtur (nella foto sotto), in Tirolo, a pochi chilometri da Ischgl. 100 morti il 15 maggio del 1965 a Garmisch in Germania per una valanga tardiva seguita da temperature molto alte. 255 vittime travolte nelle abitazioni o lungo le vie di comunicazione in Turchia nel 1991 nella zona di Bingol e di Diyabarkir.
Credit photo: Flickr CC Paul Downey, Twiga 269, Paznaun Galtur Turismo, Gughi Fassino per Courmayeur
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