Condensare quasi 3 secoli di imprese in alta quota in una breve storia dell’alpinismo è impresa ardua tanto quanto arrivare in vetta a un quattromila o più, con il rischio di fare un torto a molti. Però dopo aver discusso se l’alpinismo è uno sport o altro (e lo è, altroché se lo è) proviamo a raccontare come è nata e come si è evoluta nel tempo questa ispirazione all’aria sottile.
Breve storia dell’alpinismo
L’alpinismo, in senso sportivo contemporaneo, nasce nella seconda metà del Settecento quando un giovane scienziato ginevrino, Horace-Bénédict de Saussure, durante la sua prima visita a Chamonix, vide il Monte Bianco (4.807 metri, la vetta più alta d’Europa) e decise che avrebbe scalato la sua cima o sarebbe stato responsabile della sua salita. Era il 1760 e De Saussure offrì una somma di denaro come premio per la prima ascensione del Monte Bianco, ma fu solo nel 1786, più di 25 anni dopo, che la somma fu rivendicata – da un medico di Chamonix, Michel-Gabriel Paccard, e il suo portatore, Jacques Balmat. Un anno dopo, lo stesso de Saussure scalò la vetta del Monte Bianco.
L’Ottocento e la nascita dell’alpinismo moderno come sport
Dopo il 1850 gruppi di alpinisti britannici, con guide svizzere, italiane o francesi, scalavano una dopo l’altra le alte vette della Svizzera. Una scalata che segnò una pietra miliare per lo sviluppo di questo sport fu la spettacolare prima ascensione del Cervino (4.478 metri) dal versante svizzero il 14 luglio 1865, ad opera di una spedizione guidata da un artista inglese, Edward Whymper. Dalla metà del XIX secolo gli svizzeri cominciarono a costituire un gruppo di guide alpine chep contribuirono a far diventare l’alpinismo uno sport a tutti gli effetti, aprendo la via verso la conquista di tutte le cime in tutta l’Europa.
Dalle Alpi al resto del mondo
Entro il 1870, tutte le principali vette delle Alpi erano state scalate e gli alpinisti cominciarono a cercare nuove e più difficili vie alternative su montagne già scalate. Ma con la conquista degli ultimi picchi minori delle Alpi, alla fine del XIX secolo, gli alpinisti rivolsero la loro attenzione alle Ande sudamericane, alle Montagne Rocciose nordamericane, al Caucaso, ai picchi africani e infine all’immensità dell’Himalaya.
Il Monte Aconcagua (6.959 metri), la vetta più alta delle Ande, fu scalato per la prima volta nel 1897, mentre il Grand Teton (4.197 metri) nelle Montagne Rocciose del Nord America fu raggiunto nel 1898. Nel 1897, il duca italiano d’Abruzzi effettuò la prima ascensione del Monte Sant’Elias (5.489 metri), che si trova lungo il confine tra lo Stato americano dell’Alaska e il territorio dello Yukon, in Canada, e nel 1906 scalò con successo la vetta del Picco Margherita nella catena del Ruwenzori (5.119 metri) in Africa orientale. Nel 1913, un americano di nome Hudson Stuck scalò il Denali (Monte McKinley) in Alaska, la cui vetta di 6.190 metri è la più alta del Nord America.
La strada per conquiste di vette sempre più alte si stava aprendo, ma ci sarebbe voluto un altro mezzo secolo prima che l’ultima roccaforte, il Monte Everest nell’Himalaya, venisse asceso.
L’internazionalizzazione dell’alpinismo
Con l’avanzare del XX secolo, l’alpinismo diventò sempre più un fenomeno internazionale. Sempre più austriaci, cinesi, inglesi, francesi, tedeschi, indiani, italiani, giapponesi e russi rivolsero la loro attenzione alle opportunità offerte dalla più grande catena montuosa del pianeta, l’Himalaya, e dalle catene montuose vicine. Dopo la Prima Guerra Mondiale, i britannici si concentrarono sull’Everest. Nel frattempo, gli alpinisti di altri paesi stavano effettuando scalate spettacolari di altre grandi vette himalayane. Una squadra sovietica nel 1933 scalò il Peak Stalin nel Pamir (7495 metri, in seguito rinominato Communism Peak e infine Imeni Ismail Samani Peak), una spedizione tedesca il Siniolchu (6,888 metres), e una inglese il Nanda Devi (7,817 metres) nel 1936. La Seconda guerra Mondiale pose ovviamente un freno a questa corsa alle vette più alte del mondo, tanto che nel 1940 il The Alpine Journal of London non registrò nessuna per la prima volta alcuna vetta scalata.
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L’alpinismo contemporaneo dal Secondo Dopoguerra
Negli anni Cinquanta si susseguirono diverse scalate di successo delle montagne dell’Himalaya: una prima salita dell’Annapurna I (8.091 metri) da parte dei francesi nel giugno 1950, la salita del Nanga Parbat (8.126 metri) da parte di tedeschi e austriaci nel 1953, del Kanchenjunga (8.586 metri) da parte degli inglesi nel maggio 1955 e del Lhotse I (8.516 metri) da parte degli svizzeri nel 1956.
Il K2 nella catena del Karakoram, la seconda montagna più alta del mondo con i suoi 8.611 metri, fu scalato per la prima volta da Achille Compagnoni e Lino Lacedelli il 31 luglio del 1954. Era la spedizione guidata dal geologo Ardito Desio nella quale determinante fu il contributo di Walter Bonatti e Amir Mahdi, riconosciuto solo dopo oltre 50 anni di polemiche, accuse e cause legali. In ogni caso quell’impresa diede per sempre al K2 l’appellativo di “montagna degli italiani”.
Tuttavia il momento culminante fu il successo britannico sulla vetta dell’Everest (8.850 metri), quando un apicoltore neozelandese di nome Edmund (poi Sir Edmund) Hillary e la guida tibetana Tenzing Norgay si posarono sulla cima del mondo il 29 maggio 1953. Quella spedizione, guidata dal colonnello John Hunt, era l’ottavo tentativo in 30 anni di raggiungere la vetta dell’Everest.
Un gruppo austriaco raggiunse la vetta del Cho Oyu (alta 8.201 metri), appena a ovest dell’Everest, nell’ottobre del 1954. Nel maggio del 1955 una squadra francese riuscì a far arrivare tutti i suoi membri e una guida sherpa sulla cima del Makalu 1 (8.463 metri), un’altra vetta vicina all’Everest. L’ascensione del Kanchenjunga da parte della spedizione britannica nel maggio del 1955, spesso considerata una delle sfide alpinistiche più difficili del mondo, fu guidata da Charles Evans, che era stato vice-leader della prima scalata riuscita dell’Everest. Per approfondire: La storia delle conquiste degli Ottomila: tutte le prime volte, assolute e invernali.
A partire dagli anni Sessanta, l’alpinismo subì diverse trasformazioni. Una volta che tutti gli Ottomila furono scalati, l’attenzione si spostò alla ricerca di nuove vie, alle prime ascensioni invernali e allo sviluppo di spedizioni sempre più leggere, che non prevedessero l’uso di bombole di ossigeno, corde fisse o altre strutture artificiali, secondo il cosiddetto Stile Alpino reso celebre internazionalmente negli anni Ottanta da Reinhold Messner, il primo uomo nella storia ad aver scalato le quattordici vette degli Ottomila senza l’uso di ossigeno supplementare.
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