Overtourism e gentrificazione ci stanno rubando qualcosa

Overtourism e gentrificazione ci stanno rubando qualcosa

Quando si parla di overtourism e gentrificazione bisogna fare una premessa: se ci rendiamo conto del problema, siamo noi il problema. A meno di non essere le vittime. Insomma, è un po’ come con il traffico: se ci lamentiamo del traffico, ragionevolmente il traffico siamo noi. E così è con le dinamiche dell’overtourism, della turistificazione e della più o meno conseguente gentrificazione che sta colpendo soprattutto le aree urbane e i loro centri storici. Ma non solo.

Tourist go home

Fosse per me starei abbondantemente alla larga da buona parte delle città in cui i murales urlano “tourist go home“. Ma ho due figli adolescenti che legittimamente sono curiosi di vedere Londra, Berlino, Parigi o Barcellona. E così negli ultimi anni mi è toccato “rifare il giro” di una serie di città che avevo visto nei miei vent’anni. E che, in alcuni casi, non avevo più visitato da allora. E sì, ogni volta mi è stato sempre più chiaro che l’overtourism con tutte le sue conseguenze, tra cui la gentrificazione, ci stanno rubando qualcosa.

Overtourism e gentrificazione ci stanno rubando qualcosa

Per esempio, questa estate sono stato a Copenaghen. Ci ero stato nell’estate del 1990, e ne avevo due ricordi. Il primo che arrivati in Interrail alla stazione centrale trovammo dei bidoni di metallo pieni di preservativi gratis. Fu uno shock culturale: erano gli anni dell’emergenza AIDS e in Italia la famosa pubblicità “Di chi è questo?” sarebbe apparsa solo 2 anni dopo. Per contestualizzare: in Italia i preservativi erano venduti solo in Farmacia.

Overtourism e gentrificazione ci stanno rubando qualcosa

Il secondo che da mangiare per le finanze di un ventenne si trovava praticamente solo quelli che poi avrei imparato a chiamare smorrebrod. Al tempo mi parevano solo degli strani cracker con sopra qualcosa per dare sapore. Oggi a Copenaghen è complicato trovare un posto dove mangiare degli smorrebrod a un prezzo ragionevole. In compenso si trovano a ogni passo poké bowl, chicken rolls, pasta bolognaise e gli immancabili hamburgher gourmet. Tutta roba che trovi praticamente ovunque e sempre uguale. Tutto ovviamente organic, perché questa è la nuova parola d’ordine (sarà poi vero?) e tutto typical anche se poi in cucina vedi le mille variazioni dell’immigrazione a basso costo che tiene in piedi il business della ristorazione.

Same shit, different place

Insomma, prima il detto “same shit, different place” valeva giusto per le rinomate catene di fast food americane. Oggi vale sostanzialmente per tutto: la stessa roba senz’anima la puoi trovare nel centro della capitale danese come a Berlino, Budapest, Madrid o Praga. Vale per il food come per i negozi.

Overtourism e gentrificazione ci stanno rubando qualcosa

Lo stesso, anzi amplificato, vale per Barcellona. La prima volta ci andai nell’estate del 1992, proprio durante le Olimpiadi. Si diceva che la Rambla era appena stata ripulita per trasmettere una certa immagine al mondo che aveva acceso le sue telecamere sul capoluogo catalano. Negli anni Novanta ci sono poi tornato spesso, e ancor più nei primi anni Duemila, quando per lavoro ci andavo 2 volte l’anno, attaccandoci sempre almeno un giorno di cazzeggio. La città la conoscevo bene e avevo tutti i miei riferimenti di attività commerciali gestite e frequentate dai locali. Poi non ci sono più andato per circa un decennio. Quando ci sono tornato con i miei figli era tutto scomparso, sostituito dalle catene di fast food, fast fashion, rent a bike, street organic food, craft beer e qualunque altra roba che puoi comprare, mangiare, bere e noleggiare praticamente ovunque. Insomma, “same shit, different place“.

Che cosa è successo, esattamente?

Barcellona è il caso di scuola dell’overtourism e delle sue conseguenze, e i suoi residenti sono incazzati parecchio con i turisti. Il meccanismo è più che noto: compagnie low-cost, sharing economy, influencer e piattaforme per recensire qualunque cosa hanno riversato un abnorme numero di turisti in pochi luoghi, tendenzialmente tutti assieme. Vacanze brevi, tutto subito e tutto concentrato. Secondo i dati elaborati da The Data Appeal Company per Banca d’Italia e Istat il 70% dei turisti che giungono in Italia si concentra sull’1% del nostro territorio. In pratica dei ritrovi di massa nei luoghi più instagrammabili di Roma, Venezia, Firenze, Milano e Napoli.

Turisti mordi e fuggi che preferiscono un industriale gelato americano al gelato artigianale italiano, che non capiscono la differenza tra una vera fiorentina e una qualsiasi costata, che cercano lo stesso hamburgher gourmet (gourmet?) a Oslo come a Barcellona o che scrivono surreali recensioni delle Tre Cime di Lavaredo su Tripadvisor (tutto vero, leggere qui). Turisti mordi e fuggi che stanno sostanzialmente sfrattando artigiani e classi popolari dai centri storici delle città in favore di bubble tea e i famigerati trdlo di Praga.

Overtourism e gentrificazione ci stanno rubando qualcosa

Ecco, il Trdlo di Praga è un altro caso di scuola. Basta fare una ricerca per “Come si chiama il dolce tipico di Praga?” ed esce il Trdlo o Trdelnik che dir si voglia. Un dolce talmente tipico che è originario in realtà della Transilvania e che 20 anni fa più o meno a Praga non si era mai visto, e oggi lo trovi a ogni angolo.
Dove prima c’era un artigiano, un risuolatore di scarpe, una cartoleria, un alimentari di quartiere, una sarta, ora ci sono i Trdlo. Che fossero almeno artigianali questi Trdlo, e invece sono anche queste catene, franchising in cui lavorano lavoratori dal terzo mondo che un Trdlo non l’hanno mai visto prima di cominciare a prepararlo. E quindi non hanno idea se quello che preparano ha un sapore autentico o standard.

Perché c’è anche questo: ormai nei centri delle città ha tutto lo stesso sapore. Sapore di pistacchio, avocado, edamame finché non arriverà qualche altra moda a soppiantare questa.

Insomma è andata così: che nei centri delle città turistiche si sono riversati milioni di turisti che per la gran parte vogliono vivere un’esperienza istantanea, a cui interessa poco che il Trdlo è di Praga o meno, se ha senso magiare una Poké Bowl a Oslo e uno smorrebrod alla catena di mobili gialla e blu alle nostre latitudini, e questi turisti hanno spinto via dei centri storici le classi popolari, gli anziani che li abitavano da sempre, gli artigiani e i piccoli commercianti in favore di catene commerciali globali o attività senza anima o senza identità. Che è poi lo stesso meccanismo, questo dell’overtourism e delle turistificazione, della gentrificazione. Perché l’arrivo di classi agiate, medio borghesi, giovani e alto spendenti nelle zone un tempo popolari ha provocato lo stesso, identico meccanismo.

Cosa ci stanno rubando?

E allora, alla fine, che cosa ci stanno rubando tutte queste dinamiche? Ci stanno rubando un po’ l’anima dei luoghi, quel genius loci che una volta ti faceva capire di essere a Parigi anziché a Londra anche dall’odore che sentivi in strada; ci stanno rubando un po’ l’autenticità dei luoghi, quel modo di vivere che è (o era) così tipico perché somma di fattori materiali e immateriali, culturali e tradizionali; ci stanno rubando un po’ anche il senso della sorpresa, il gusto dell’inaspettato, lo shock culturale in qualche modo. Fondamentalmente ci stanno rubando il senso del viaggio per ingozzarci di Trdlo dolciastro come il napalm.

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