Come nasce una e-mtb di successo? Chi decide cosa convincerà gli appassionati? Come si trasforma un’idea in un progetto tecnico? Come costruire biciclette in taglie diverse? Ce lo racconta uno dei produttori più innovativi del panorama europeo: l’italiana THOK E-Bikes. Fondata da Stefano Migliorini, l’ex campione della scena downhill mondiale, e da Livio Suppo, il manager che in MotoGP ha firmato il trionfo di Ducati e poi il ritorno di Honda, THOK conta anche sull’apporto di TCN Group e degli imprenditori Bernocco ed Astegiano, un polo industriale con forti radici piemontesi. Il punto di osservazione di questo racconto è quello di Luca Burzio, il 44enne progettista torinese che collabora alla realizzazione delle THOK.
Il motto di THOK è “Performance first”. Solo uno slogan o qualcosa di più?
Il primo passo che viene fatto in THOK è individuare la bici da costruire: si parte da ciò che il mezzo dovrà fare. Le geometrie cambiano in base al tipo di utilizzo della bicicletta, a seconda che sia urban, all mountain o enduro. Il claim dice questo: una bici deve soddisfare le necessità del biker, al di là della moda del momento. Stefano Migliorini, il CEO di THOK, sviluppa il prodotto partendo dalle esigenze dell’utente finale: lui è prima di tutto un biker, uno che usa la bicicletta.
Eppure le THOK non trascurano il design…
Quando è stato deciso “cosa farà” la nuova THOK, quali caratteristiche tecniche dovranno rappresentarla, si inizia a disegnare “come sarà”. Questo lavoro lo facciamo in tre: Stefano, che sceglie le specifiche che dovrà avere la bicicletta per offrire il massimo della performance; Aldo Drudi, che firma lo stile della bici; ed io, che unisco in un progetto esecutivo i geni “corsaioli” di Stefano a quelli “estetici” di Aldo. Sì, il design è molto importante: Infatti THOK si avvale di uno stilista di eccellenza. Aldo Drudi è la persona che da anni realizza i caschi di Valentino Rossi.
E quando il progettista ha trovato la soluzione?
Allora la parola passa al computer e con la tecnica della prototipazione rapida viene creato un primo “sample” in 3D della bicicletta. Per fortuna sono un ciclista a mia volta, questo mi aiuta a “ingegnerizzare” le volontà di Stefano. Ho un’ottima intesa con lui e capisco al volo ciò che vuole; ci conosciamo da tempo, siamo stati per anni compagni di pedalate. Condividiamo la stessa passione per la bicicletta e parliamo la stessa lingua: un grande vantaggio.
C’è tanta Italia, in questo progetto. È un limite o un pregio?
La sede di THOK è nelle Langhe, un posto dove lavorare significa essere operativi e concreti. Due dei soci (Bernocco ed Astegiano) sono nati lì. Io, Migliorini e Suppo siamo torinesi, la città della prima capitale d’Italia: siamo tutti cresciuti a vitello tonnato, bagna caoda e gianduiotti, parliamo la stessa lingua. Anche la scelta di Drudi non è stata casuale: vincitore di un Compasso d’Oro, personaggio di fama mondiale, radicato saldamente in Italia pur essendo figura internazionale.
L’italianità in THOK è insomma un aspetto fondamentale della filosofia dell’azienda.
Questa radice comune rende molto facile il lavorare insieme. Ma nonostante il forte legame col territorio, sono tutte persone che hanno girato il mondo ed hanno visto le loro idee affermarsi ai quattro angoli del pianeta: atleti di fama internazionale, manager celebrati in Giappone, imprenditori del made in Italy… Inoltre, là dentro (e mi ci metto anche io) sono tutti “malati” di bicicletta, una febbre che contagia dal meccanico all’amministratore delegato, al responsabile dei social media.
Hai lavorato anche con altri brand della bici. Che differenza c’è tra THOK e i grossi gruppi industriali?
THOK è una boutique artigianale, ha dei vantaggi rispetto a realtà più grandi e riesce a sfruttarli al meglio. Primo fra tutti la capacità di agire in tempi rapidi grazie alla snellezza della sua organizzazione. Inoltre l’appartenere al gruppo TCN, solido e potente polo industriale italiano, rende possibile prototipare e testare subito i componenti. THOK unisce il vantaggio di essere un’azienda giovane e snella alla capacità tecnica e pratica di una multinazionale, grazie a sua sorella maggiore TCN. E poi, volete mettere un CEO che non solo progetta la bicicletta, ma sale in sella per testarla di persona e sa dirti cosa occorre affinché, per esempio, sia più reattiva in uscita di curva, o abbia la giusta trazione in salita? O lavorare con nomi come Aldo Drudi e Livio Suppo, il team principal italiano di Moto GP più premiato al mondo? …“Tanta roba”, come dicono i giovani!
Oggi la tua vita si divide tra Italia e Germania, a 650 km di distanza da Alba. Come riuscite a lavorare insieme?
In realtà Stefano ed io sovente lavoriamo in Liguria, dove ho una casa. Finale e Pietra Ligure, con i loro tracciati Enduro World Series e l’orizzonte aperto del mare, sono l’ideale sia per immaginare cose nuove che per testare un prototipo. È capitato spesso con Stefano di trovarci a casa mia, lavorare a computer, uscire in bici per testare un’idea, rientrare e continuare a lavorare su carta per poi, magari, rimetterci in sella in caso di dubbi.
Tu vieni dall’aeronautica e sei un appassionato di automobili. Settori ad altissima ingegnerizzazione. Le biciclette sono più facili?
Al contrario! Ci sono differenze di approccio che rendono alcuni aspetti più difficili. Chi viene dal mondo delle automobili, ad esempio, non si è mai posto il problema delle taglie: nelle auto le taglie non esistono. Ma la bicicletta va pensata in più misure, devi progettare parti del telaio che dovranno adattarsi a persone di altezze diverse. Oggi che le batterie e il motore vengono integrati nel telaio, questo è diventato più difficile, perché alcune parti della bici non possono più essere accorciate. Una batteria non puoi comprimerla, di conseguenza il down tube che la ospita dovrà necessariamente avere una certa lunghezza. Il problema si pone quando bisogna lavorare sulle taglie piccole. La small, da quando usiamo batterie da 630 Wh, è quasi sparita. È difficile da fare. Poi chiaramente una XL sarà più stabile e una S più agile, ma la bicicletta deve rimanere la stessa. La promessa di prestazione va garantita in tutte le taglie. Nel caso di THOK, sia la MIG che la TK01 (l’e-enduro appena presentata sul mercato) contengono questo approccio: un blocco downtube e supporto motore che calzino tutte le taglie e che consentano, dalla S all’XL, integrazione di batteria e motore assicurando il claim “Performance First”. Questo, nella TK01, avviene nel punto di congiunzione tra “viper head”, tubo sterzo e attacco del downtube: la sfida è stata far sì che l’inclinazione del tubo obliquo non cambiasse nelle diverse taglie e che la geometria della bici restasse invariata.
Quanto tempo ci vuole per progettare una nuova e-mtb?
In THOK ci prendiamo due anni. Siamo da sempre avversi all’idea del “model year”: la scelta è ricaduta su un numero limitato di modelli ma vincenti per scelta di soluzioni e destinati a durare nel tempo. I progetti hanno richiesto molti disegni, diversi prototipi e alcuni cambiamenti di rotta in corso di progettazione. Ma le ore di lavoro trascorse seduti allo stesso tavolo hanno garantito alle biciclette una vita lunga.
Come costruite i prototipi?
Come detto, THOK E-Bikes è parte di un gruppo industriale più ampio ed ha la possibilità di realizzare autonomamente, in caso di emergenza, prototipi di componenti presso le sue consociate. THOK è una piccola azienda, ma lavora come una multinazionale, ed è aperta e propensa alla sperimentazione.
Cosa intendi quando dici che THOK lavora come una multinazionale?
La sua organizzazione semplice le permette di essere veloce e facilmente adattabile ai mutamenti, i grandi brand sono molto più elefantiaci nei cambiamenti. Allo stesso tempo, avere l’appoggio di una solida realtà come TCN Group, le permette di sopperire ai ritardi dei fornitori, così da lavorare a nuovi progetti senza troppi rallentamenti. Trovare soluzioni tecniche ai problemi che si pongono ogni volta che si progetta una nuova e-mtb non è una cosa banale, a maggior ragione per un’azienda giovane e delle dimensioni di THOK. Non parliamo di grandi colossi dove esistono centri sviluppo, uffici di progettazione e molto personale coinvolto nell’ideazione. In THOK, nel lavoro di sviluppo sono coinvolte poche persone, ma di grande esperienza e passione. E capaci di idee rivoluzionarie. Pensiamo alla MIG, per esempio, all’idea di posizionare la batteria sotto al down tube che abbassa il baricentro, elemento che caratterizza tutt’ora le THOK. Quattro anni fa, tutte le e-bike avevano la batteria appoggiata sopra al tubo obliquo; THOK è stata la prima a semi-integrarla nel telaio ed a rivestirla con una cover. Ricordo che per testare e studiare il primo modello di MIG, poiché il motore Shimano E8000 tardava ad arrivare, disegnai un adattatore, con pari ingombri, che permettesse a Stefano di pedalare ugualmente la bicicletta. Fu realizzato nel giro di pochissime ore nelle officine TCN. Oppure, altro esempio di idea innovativa, il nuovo top tube “viper head” e l’head set tapered da 1.8” della TK01: quest’ultima è una vera rivoluzione della serie sterzo delle e-bike. È un fatto che THOK sia un’azienda audace e brillante che non ha paura di percorrere strade nuove. In questi anni è stata capace di lanciare con coraggio soluzione tecniche innovative ed alternative, cosa che non sempre hanno saputo fare aziende più famose.
Il prossimo passo?
Nonostante la domanda del mercato sia molto aumentata, Il Covid ha complicato la vita della bike industry. Sarà difficile per tutti, nel prossimo futuro, progettare idee nuove e fare programmi. Ma da bikers, in THOK sappiamo che per mantenere l’equilibrio bisogna pedalare e non stare mai fermi.
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