Dal “biancore nobiliare” alla tanoressia, ecco l’ossessione degli italiani – ma non solo – per sole e abbronzatura, messa in evidenza da Vamonos-Vacanze.it, il tour operator italiano specializzato in vacanze per single, che registra durante l’intero arco dell’anno un boom di richieste per i “Viaggi al caldo”, dalla Puglia alla Sicilia, da Capo Verde a Santo Domingo, da Sharm El Sheikh a Zanzibar. Oggi 9 italiani su 10 riconoscono l’essere abbronzati come sinonimo di salute, fino ad arrivare alla tanoressia, neologismo derivato dall’inglese «tan» (abbronzatura) e dal greco «órexis» (appetito). «Detta anche sindrome da “tanning addiction”, la tanoressia può essere considerata —parimenti all’anoressia— una dispercezione corporea: se chi è anoressico non si vede mai abbastanza magro, allo stesso modo chi è tanoressico non ritiene mai di essere sufficientemente abbronzato» spiegano gli esperti di Vamonos-Vacanze.it.
Storia dell’abbronzatura
La compulsione ad esporsi esageratamente al sole è un costume antico e radicato (i nostri antenati veneravano questo nostro astro, visto come una “palla di fuoco” misteriosa a cui offrire sacrifici) che però è in continua evoluzione.
«In epoca vittoriana —ma anche nell’Europa medioevale e perfino nella Grecia Antica— la pallidezza era considerata la manifestazione esterna dell’aristocrazia, in opposizione ai contadini costretti a lavorare nei campi, esponendosi dunque al sole» fanno presente gli specialisti di Vamonos-Vacanze.it.
Poi, però, nel 1920, Coco Chanel —rientrata sulla riviera francese da una crociera nel Mediterraneo— riportò in auge l’abbronzatura, iniziando a consigliare a clienti ed amiche di prendere un po’ di colore per valorizzare meglio gli abiti della sua maison, con le sue collezioni dagli orli più corti che si ribellavano ai puritani valori vittoriani e rivalutavano “workwear” e “sportwear” come fonte di ispirazione.
E poi ancora, nel 1928, Jean Patou creò «Huile de Chaldée», il primo olio abbronzante; e pochi anni dopo, nel 1935, Eugène Schueller sviluppò «Ambre Solaire», un olio che assorbiva i raggi UV permettendo di abbronzarsi 5 volte più velocemente del normale: l’azienda divenne così famosa da essere successivamente acquisita da L’Òreal.
La rivoluzione del bikini
Nel 1946 esplose quindi la «rivoluzione del bikini» che —oltre a liberare i corpi— rendeva maggiormente necessario usare prodotti sia per favorire l’abbronzatura che —e soprattutto— per proteggersi dal sole. Così, a partire dal dopoguerra l’abbronzatura è diventato uno «status symbol», indicatore di benessere, tempo libero e disponibilità economica per viaggiare in luoghi caldi anche d’inverno.
Nacque così anche il mercato dei prodotti auto-abbronzanti e delle lampade solari, per rispondere alla domanda di chi —senza volare ai tropici— volesse abbronzarsi anche d’inverno: «un segmento che oggi è stimato valere 21 miliardi di euro» rimarcano gli ideatori di Vamonos-Vacanze.it.
Le creme protezione 50
I “millennial” —soprattutto quelli nati a inizio degli Anni Ottanta— sono stati protagonisti e testimoni dell’ossessione per l’abbronzatura a tutti i costi, ottenute a volte utilizzando, con tecniche discutibili, miscele di prodotti “fai da te” che includevano perfino la Coca Cola; mentre le generazioni più giovani —gli “zillennial”— si trincerano invece nella crema solare “protezione 50”, molto più timorosi dei danni che il sole potrebbe loro procurare.
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«Oggi, nel 2024, l’estetica vacanziera richiede una pelle sì abbronzata ma anche idratata e mai troppo scura» concludono gli specialisti di Vamonos-Vacanze.it.
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