Correre a Milano durante il Covid, soprattutto in queste settimane tumultuose, è un’abitudine che va gestita con cura e responsabilità. E forse è giunto il momento di fare una riflessione a riguardo.
Sono da poco passate le 18.00, un’altra giornata sta giungendo al termine ma prima di spegnere il computer faccio ciò che è tristemente diventato un atto integrato nella nostra quotidianità: controllare i casi di Coronavirus giornalieri. A Milano, anche oggi, abbiamo superato quota 1000. E la situazione dei ricoveri ordinari, dei pronto soccorso e delle terapie intensive, per quanto sia imparagonabile a quella di sette mesi fa, è in netto peggioramento.
Menomale che c’è la corsa a tirarmi un po’ su il morale. Allora, come di consueto, allaccio le scarpette ed esco per i miei 12-13 (quando mi sento in forma 15) chilometri che mi riconciliano con il mondo. Fino a un mese fa correvo al Parco Lambro o sul Naviglio Martesana, ma da un po’ ho cambiato zona e sono ancora in fase di sperimentazione.
In questo momento, correre a Milano è sicuro per me e per gli altri?
Percorro, purtroppo senza alternative, un pezzo di via Meda e corso San Gottardo (due vie non esattamente ospitali per chi corre), arrivo in Darsena e imbocco finalmente il Naviglio Grande. Dal lato opposto arriva un altro runner: mantenere la distanza interpersonale è difficile, quindi mi allargo, tiro su lo scaldacollo e volto la faccia dall’altra parte. Poi ecco la mamma col passeggino, e di nuovo mi allargo il più possibile sulla destra per evitare contatti ravvicinati.
500 metri più avanti ci sono quattro ragazzi che marciano e che occupano tutta la pista ciclopedonale, e per sorpassarli devo inevitabilmente passargli accanto. Dopodiché mi imbatto in un lento signore sulla bicicletta e in un runner che va al mio stesso ritmo: mi ricordo delle parole del virologo Fabrizio Pregliasco sull’effetto scia (può arrivare fino a 10 metri se sei in bicicletta) e sull’aumento della frequenza respiratoria che innalza la probabilità di inalare il virus eventualmente presente nell’aria, dunque faccio attenzione a non avvicinarmi troppo e quando riesco li supero. E via così per tutta la durata della corsa.
Sono tutte cose normali per un runner milanese, ma che in questo momento di tensione (e di maggior rischio di contagio qui in città) mi stanno spingendo a una riflessione sotto più fronti. Quando corro a Milano mi sento/sono al sicuro? E il fatto di non indossare la mascherina può mettere in pericolo gli altri? Non è il caso di accantonare la corsa almeno fino a quando la situazione sanitaria non migliora e i pronti soccorso smettono di essere presi d’assalto?
La difficoltà di mantenere sempre le distanze e la condizione di “vantaggio” del runner
A Milano è impossibile scongiurare la possibilità di incrociare un’altra persona: c’è sempre gente che corre, che fa fitwalking o che va in bici, a qualsiasi ora del giorno e in qualsiasi luogo. Due posti in cui si potrebbe avere sufficiente spazio sono lo sconfinato Parco Lambro e il Naviglio Pavese. Nel primo caso, però, il polmone verde va pur sempre raggiunto in qualche modo, mentre nel secondo caso non c’è una pista ciclopedonale (a parte nei primi 200-300 metri) e si è costretti a correre sul lato della carreggiata (sul marciapiede non sempre è possibile il distanziamento con i pedoni). Forse nella suddetta categoria posso mettere la Montagnetta di San Siro, ma vale lo stesso discorso del Parco Lambro.
Poi abbiamo Parco Sempione, il Naviglio Martesana, i giardini di Porta Venezia, l’Idroscalo, Parco Trotter: tutti luoghi straordinari per una corsa, ma in cui, parliamoci chiaramente, mantenere sempre le distanze di 2 metri è utopia. Fatta questa premessa, va detto che io, runner, sono in una condizione di vantaggio: la legge mi consente di non mettere la mascherina quando pratico questo sport all’aperto. Correre con la mascherina non solo fa schifo, ma fa anche male alla salute. Lo stesso “lusso”, però, non è consentito a chi fa una passeggiata lungo la mia stessa pista ciclopedonale. Ed io, francamente, mi sento un po’ in colpa, anche se sono consapevole di due dati di fatto: primo, non sto facendo nulla di male; secondo, il rischio di contagio all’aperto e nei contatti sfuggenti è a dir poco basso.
Tuttavia, quando incontro qualcuno sulla mia strada, mi schiaccio il più possibile sul lato e tiro su lo scaldacollo. Insomma, noi runner abbiamo questa sorta di vantaggio, ma quando ci incrociamo a vicenda sui navigli (perché sì, accade) è come se questo vantaggio si annullasse.
Correre a Milano durante il Covid: il runner meneghino davanti a una scelta
Personalmente, a marzo ho scelto di smettere di correre una decina di giorni prima che venisse imposto il divieto di fare sport a più di 200 metri da casa: l’ho ritenuto un atto di responsabilità verso di me e verso gli altri, anche se sono stato indubbiamente guidato dalla paura di un virus allora sconosciuto. Ora è diverso. Però bisogna sempre guardare il contesto in cui si vive, e chi fa running a Milano può e deve avere un approccio differente rispetto a chi ha la fortuna di poter correre in campagna, in collina o in montagna.
Sia chiaro, mentre sto scrivendo non ho ancora deciso se mettere da parte (di nuovo) per un po’ la mia amata corsa. Il punto, se ci fosse, non sarebbe questo. Il punto non è che il milanese (o chiunque viva in una città con una densità di popolazione elevata) che smette di correre va applaudito e chi continua va ammonito: non è così. Al momento è una pura questione di scelte, ed entrambe sono corrette e inattaccabili.
Dobbiamo però renderci conto che la nostra città sta attraversando un momento di sofferenza particolare. Forse, quindi, vanno cambiate un po’ le nostre abitudini: sperimentiamo orari nuovi (anche improbabili) e percorsi alternativi che arrivano fino all’hinterland; cerchiamo in ogni modo di mantenere una distanza che è stata imposta non perché gli scienziati, un giorno, hanno deciso di farci un dispetto. E se ci rendiamo che la situazione comincia a diventare realmente “pericolosa” per noi stessi e per gli altri, forse è davvero il momento di riflettere sul prosieguo della nostra attività in queste settimane così delicate. Dunque, cari runner, state attenti là fuori.
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