In questi giorni si festeggiano i 120 anni della Gazzetta dello Sport, quotidiano sportivo più letto in Italia. Dopo la festa glamour del 3 aprile, questo weekend promette, in Darsena a Milano, una due giorni di sport “insolitamente outdoor” (sport solitamente praticati al chiuso verranno svolti a cielo aperto!) con grandi campioni. Ebbene, dopo 120 anni di dominio maschile nella lettura di un giornale, tra l’altro, rosa (ma non si sono mai vergognati di leggere in rosa? È roba da femmine!), mi chiedo: perché una donna pizzicata a leggersi la Gazzetta dello Sport deve sentirsi ancora oggi una extraterrestre?
Questo è quello che succede a me, quando non sono in un ambito lavorativo, ma magari seduta al bar o nella hall di un albergo (sono sempre alla ricerca disperata di una copia, se non addirittura me la faccio comprare per tutti il periodo del soggiorno) o sulla sdraio in spiaggia: “Ma che figa che sei, leggi la Gazzetta?” (No faccio finta, mi verrebbe da rispondere!). “È raro vedere una donna che legge di sport, brava, brava, poi me la presti?”. Ovviamente sorrido, e mi sento anche un po’ lusingata esattamente come quando ai semafori, ferma con la mia Harley-Davidson, mi sento dire cose, qui, impronunciabili.
Allora mi chiedo ancora: saremo mica delle extraterrestri? Se lo sport è anche donna, perché non dovremmo tenerci informate sulle performance delle nostre atlete, sui risultati delle nostre squadre? E, al di là dell’universo sportivo femminile che resta sempre e comunque in secondo piano, perché noi donne non possiamo permetterci il lusso e il piacere di tifare e appassionarci a qualche sport, indipendentemente dal sesso? Da un rapporto dell’Istat del 2015, si scopre che le donne leggono più degli uomini (pare solo i libri!) e gli uomini praticano più sport delle donne. Quindi, se una donna legge di sport stravolge tutto? Come funziona questo algoritmo?
Senza inoltrarmi in banali digressioni su numeri e praticanti, sulle discriminazioni sessuali in termini di performance, premi, contratti, ammortizzatori sociali, posso solo dire di essere fiera di far parte di quel 9% di donne su oltre 3 milioni di lettori che ogni giorno leggono la Gazzetta (dati riportati su Sportweek, che leggo con altrettanto piacere).
A questo punto devo ammettere che lavoro nel mondo dello sport, scrivo di sport e in un certo senso non posso fare a meno di essere informata. Ma da ex-atleta, peraltro di uno sport ‘esclusivamente’ maschile, ho sempre avuto un desiderio irrefrenabile di aprire La Gazzetta, sempre dal fondo, dove, anche se sintetizzate in poche righe, si trovano le notizie più curiose e diverse sugli sport figli di un dio minore, per poi approdare a ritroso sul basket, sulla pallavolo, sul ciclismo, sul rugby se ci sono grandi eventi, sul tennis, sui motori, etc. Per poi fermarmi a metà, tanto tutto il resto è il calcio.
La conosco a memoria, ne ho seguito l’evoluzione dell’impaginato degli ultimi 10 anni, non sempre azzeccato, il susseguirsi di redattori e caporedattori, ne ho criticato a volte i contenuti, mi raffronto spesso con i giornalisti stessi a cui mando i miei comunicati che spesso rivedo scritti con la mia impalcatura, sentendomi relegata a ghostwriter (riuscirò mai a vedere una volta il mio nome scritto sotto un articolo della Rosa?), in poche parole ne sono affezionata e dipendente. Ma forse sono un caso a parte. E benediciamo quel giorno del 1899, in cui finì la carta bianca e stamparono la Gazzetta, per forza di cose, su carta rosa
Venghino, siore venghino!
Credits photo: Gianni Rizzotti
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