La droga non è doping. La decisione della WADA

La droga non è doping. La deciioen shock della WADA

La droga non è doping. Maradona non era dopato ma “solo” drogato. E chissà come sarebbe stata la sua carriera, e la sua vita, senza i 18 mesi di squalifica del 1991 (ai Mondiali del 1994, dopo la partita contro la Nigeria, gli furono invece trovate tracce di efedrina, che è ancora considerata doping). Ma anche Michael Phelps, il Proiettile di Baltimora nonché Mister Gold con 39 record del mondo in 8 specialità, nel 2009 squalificato per 3 mesi perché beccato a fumare erba all’università della South Carolina. O Javier Sotomayor, la leggenda cubana del salto in alto, squalificato 1 anno nel 1999 per cocaina e ancora oggi detentore del record del mondo stabilito nel 1993 su cui per molti aleggia ancora il velo del dubbio. Per non parlare del lungo elenco di calciatori (da Caniggia a Mark Juliano), o cestisti NBA, da Michael Ray “Sugar” Richardson – 3 volte NBA All-Star ma anche bannato a vita dalla lega per aver fallito 3 test antidroga – in giù. E ancora Mike Tyson, Andre Agassi e Tim Montgomery, recordman mondiale dei cento metri e argento alle olimpiadi di Atlanta 1996. La decisione della Wada di depenalizzare l’uso delle sostanze “ricreative” tra gli sportivi fa molto discutere. Non è un via libera assoluto, perché un minimo di stop c’è ancora (da 30 giorni a 3 mesi, ne parliamo nel dettaglio in questo articolo) ma sancisce alcuni principi su cui è il caso di aprire una riflessione.

Con una premessa: non è il caso di fare i talebani no-drugs e nemmeno le verginelle. Uno spinello da vicino l’abbiamo visto praticamente tutti in vita nostra. E forse abbiamo fatto anche qualche tiro. Perfino Barack Obama ha ammesso di aver fumato cannabis in gioventù (cannabis che peraltro l’ONU ha appena tolto dall’elenco delle sostanze dannose seguendo la decisione dell’OMS del 2019). Ma la Wada dice sostanzialmente una cosa: le “substances of abuse”, le droghe ricreative tra cui ci sono i cannabinoidi ma anche la cocaina e l’ecstasy, non servono a migliorare le prestazioni. Almeno le prestazioni durante la competizione, perché la stessa WADA circoscrive al solo momento della prestazione (dalle 23:59 del giorno prima all’eventuale controllo medico post gara) il lasso di tempo in cui tali sostanze sono considerate dopanti. Se sei pizzicato prima o dopo quel frangente hai al massimo un buffetto che non ti distrugge la carriera.

Quella della WADA è una resa all’evidenza dei fatti? Un risarcimento postumo a Maradona & Co.? Una dichiarazione di impotenza? Intanto è pragmatismo allo stato puro: l’antidoping non è solo esami ma anche intelligence, e inseguire e perseguire gli atleti per uno spinello o una pippata costa. Un costo sproporzionato ai benefici devono aver pensato alla WADA, scegliendo di concentrare i propri sforzi, umani ed economici, sulle “vere” sostanze dopanti.
Questo significa, molto grossolanamente, che dal lunedì al sabato puoi fare quello che vuoi. L’importante è che tu atleta sia pulito la domenica, il giorno santo della partita (è una metafora calcistica, basta traslarla su qualunque evento sportivo, su su fino alle Olimpiadi). Quindi per la WADA sei un atleta solo quando gareggi, solo quando scendi in campo per lo show, come i gladiatori al Colosseo. Di ciò che fai prima e dopo, compreso pippare, fumare o bere fino a stordirti, alla WADA non interessa poi molto.

E allora la domanda che bisognerebbe porsi per decidere davvero se una pippata o uno spinello sono doping oppure no è sul perché un atleta, giovane, nel pieno delle possibilità di esprimere le proprie potenzialità fisiche e mentali, dotato di un talento, spesso ben remunerato per fare sport, con una forte riconoscibilità sociale, ricorra allo spinello o a una striscia di coca. È solo sballo? Lo stesso dei suoi coetanei, e quindi legittimato in qualche modo? O è la ricerca di una via di fuga dalle limitazioni, imposizioni e vincoli a cui la vita di atleta di alto livello ti sottopone? Per Maradona la coca era solo lo sballo o anche il sollievo da una vita perennemente troppo sotto i riflettori per un ragazzo neanche trentenne? Così dichiarò Maradona nel 1994:

“Ho sbagliato, è stata una leggerezza. Ma in questo Paese dove prendono tutte le droghe hanno incastrato me per una sostanza che non ti dà la forza nemmeno per fare un passo. Mi hanno usato quando serviva un personaggio da portare ai Mondiali. Poi hanno riempito gli stadi e io non servivo più. Anzi. Magari si aspettavano un Maradona grasso per far ridere la gente, invece hanno cominciato ad avere paura quando hanno visto come giocavo e come giocava l’Argentina. Saremmo arrivati in finale col Brasile e avremmo vinto noi”.

E lo spinello di Michael Phelps è stato solo un errore di gioventù, come dichiarato dallo stesso nuotatore USA, o la ricerca di una normalità che per un atleta di quel livello e di quel profilo è impossibile?

Il mio comportamento deplorevole ha dimostrato una cattiva capacità di giudizio. Ho 23 anni e nonostante i successi che ho avuto in piscina, ho agito in modo giovanile e inappropriato, non nel modo che le persone si aspettano da me. Per questo mi dispiace. Prometto ai miei fan e al pubblico che non succederà più.”

Tony Adams, calciatore inglese, capitano della nazionale, idolo dell’Arsenal, ha avuto il coraggio di confessare il suo alcolismo in un libro memorabile (Fuori gioco, la mia vita con l’alcol): 10 anni di carriera vissuti sotto l’effetto dell’alcol, prima durante e dopo allenamenti e partite. Un segreto che tutti conoscevano, compagni, allenatori e avversari, e con il quale ha lottato duramente per uscirne. Quando ce l’ha fatta ha dichiarato:

“Il mio valore come persona era in ciò che facevo, non in ciò che ero”.

La cocaina di Maradona, lo spinello di Phelps, l’alcol di Tony Adams: sono solo momenti “ricreativi” come sancisce ora la WADA, o la spia di un malessere più profondo talvolta anche insito nella vita di atleta di alto livello? E bere, fumare o pippare per sopportare quelle pressioni non è in qualche modo un modo per continuare a essere comunque performanti? Non è un modo per riuscire a essere ciò che gli altri si aspettano che si sia anche quando non si hanno le energie – fisiche e mentali – per esserlo? E alla fine, è davvero corretto considerare gli atleti tali solo nel momento della competizione?

Credits Photo: Diego Torres Silvestre CC BY 2.0

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