Alle Olimpiadi Invernali la Norvegia vince più di tutti. Vale per il medagliere di singole Olimpiadi, come questa di Pechino 2022 (16 ori, 8 argenti e 13 bronzi), quella Pyeongchang 2018 (39 medaglie, 14 ori, 14 argenti e 11 bronzi), e quella di Salt Lake City 2002 (13 ori, 5 argenti, 7 bronzi), per rimanere nel nuovo millennio. E vale per il medagliere complessivo di ogni tempo, nel quale prima di Pechino 2022, Oslo era già davanti a tutti con 139 ori 125 argenti e 11 bronzi. Perché comunque il paese scandinavo si piazza sempre tra le superpotenze degli sport invernali: seconda a Soči 2014 con 11 ori, 5 argenti e 9 bronzi, dietro ai padroni di casa della Russia; quarti a Vancouver 2010 con 9 ori, 8 bronzi e 6 argenti, e solo a Torino 2006 non entrarono nella top 10 delle nazioni medagliate.
Verrebbe da dire, a un osservatore poco attento, che hanno un sacco di montagne e un sacco di neve, ma giusto per rimanere tra i Paesi scandinavi questo varrebbe anche per Svezia e Danimarca o Finlandia, che hanno più o meno la stessa popolazione e le stesse caratteristiche geografiche ma non vincono così tanto negli sport invernali come la Norvegia.
La particolarità delle Olimpiadi Invernali e del loro medagliere
Sulle Olimpiadi invernali bisogna fare una premessa: contrariamente alle edizioni estive, da cui è possibile trarre considerazioni globali del rapporto tra popolazione, pratica sportiva e condizioni economiche (come abbiamo fatto per Tokyo 2021 in questo articolo) quelle invernali sono per forza di cose parziali, perché per formare uno sciatore o un pattinatore di altissimo livello servono montagne, neve e infrastrutture che in ampie zone del mondo non ci sono per natura. Nel medagliere olimpico invernale non c’è nessun Paese africano (la prima gara FIS nel continente risale solo al 2014, sui 2700 metri del Drakensberg, nel comprensorio sciistico di Tiffindell ai confini meridionali del Lesotho), ma nemmeno sudamericano, continente nel quale eppure le montagne e la neve non mancano.
Però se rimaniamo laddove ci sono i prerequisiti fisici (le montagne e la neve) e quelli culturali della pratica degli sport alpini o nordici, la Norvegia è senza dubbio un caso molto particolare.
Con 5 milioni di cittadini ha la stessa popolazione di Bangkok o la metà della Lombardia, quindi un bacino potenziale di talenti imparagonabile a Stati Uniti, Canada, Russia ma anche Giappone (che è nella Top 20 del medagliere olimpico) o della nuova potenza del freddo, la Cina.
Certo la Norvegia è uno dei Paesi più ricchi al mondo: ha l’Indice di sviluppo umano più alto del mondo e il suo PIL pro capite è il secondo al mondo. Ma tra olimpiadi estive e invernali al Comitato olimpico destina un budget di 15 milioni di euro, che è 1/10 di quello estivo del Regno Unito (150 milioni di euro). Quindi pur con relativamente poca popolazione e con un budget olimpico non faraonico i sudditi di re Harald V di Norvegia riescono comunque a eccellere negli sport invernali.
Perché alle Olimpiadi Invernali la Norvegia vince più di tutti?
Per capire perché alle Olimpiadi Invernali la Norvegia vince più di tutti bisogna partire da quanto dichiarato da Tom Tvedt, presidente del Comitato Olimpico Norvegese, in un’intervista al Guardian: più ragazzi praticano sport e più è statisticamente possibile trovare quei talenti che poi diventeranno atleti di livello internazionale. Il 93% dei bambini e delle bambine norvegesi pratica almeno uno sport, in Italia il 40%. Che tradotto significa che in Norvegia lo sport è sostanzialmente uno stile di vita. Certo ci sono le strutture, perché il Paese può economicamente premettersele, ma chiunque sia stato almeno una volta nella vita a Oslo e dintorni non può non aver notato la quantità di persone di ogni età che praticano sport per il piacere di farlo, oppure le scolaresche intente a fare quella che noi chiamiamo ora di educazione fisica o motoria all’aperto o nei comprensori invernali.
Ma anche in molti altri Paesi del mondo ci sono un sacco di bambini e bambine che fanno sport, e però non raggiungono i risultati della Norvegia. Che contrariamente agli altri ha uno dei tassi di drop-out, cioè abbandono sportivo alla vigilia dell’età adolescenziale, più bassi al mondo: negli Stati Uniti è il 35% degli USA, in Italia il 43%, in Francia il 17% e in Norvegia il 22%.
E già qui bisognerebbe capire il motivo di queste percentuali di abbandono sportivo. Negli ultimi 20 anni sono stati numerosi gli studi che hanno cercato di individuale le cause di questi alti tassi di drop out e il punto in comune a tutte le ricerche è la specializzazione precoce. Cioè l’allenamento tecnico specifico per l’acquisizione precoce di abilità finalizzate al raggiungimento del migliore risultato / prestazione possibile. Per dirlo con uno slogan, il modello Agassi, per chi ha avuto il piacere di leggere Open.
Una causa grave non solo in sé ma anche in quanto associata ad altre conseguenze come problemi fisici (infortuni da sovraccarico), implicazioni psico-sociali (perdita di piacere nella pratica sportiva) o disturbi alimentari (in particolare le ragazze, in particolare in alcuni sport in cui il peso e/o l’aspetto estetico sono discriminanti).
Sempre le parole di Tom Tvedt, presidente del Comitato Olimpico Norvegese, intervistato da USA Today:
Unlike the U.S., where they keep score of everything all the time, Norway puts kids in sports but doesn’t let them keep score until age 13. The idea is to make sports part of their social development so that the motivation to stay involved is to have fun with their friends, not winning. The idea isn’t to have the highest-ranked 10-year-old athletes in the world but rather the most mature adults.
Fino all’età di 13 anni bambini e bambine, ragazzi e ragazze, praticano sport senza nessuna forma di classifica, podio o premio. L’obiettivo è fare in modo che lo sport sia parte del loro sviluppo psico-sociale, che sia una forma di divertimento e socializzazione e che li faccia crescere come degli adulti maturi, e non come il decenne più forte al mondo. Di più: fino all’adolescenza ragazzi e ragazze continuano a praticare sport nel loro piccolo club locale, anche se sono bravi o bravissimi e vivono in un remoto villaggio.
Poi certo, a 14 anni si comincia a competere, e i migliori entrano all’Olympiatoppen, l’avveniristico centro olimpico di Oslo e nei programmi olimpici invernali, su cui la Norvegia punta ben più che su quelli estivi (a Rio 2016 per esempio furono 74esimi con 4 bronzi, dietro a Niger, Burundi, Quatar, Grenada, Filippine e Mongolia). Ed è qui che i migliori giovani atleti di un Paese con appena 5 milioni di abitanti diventano i migliori sciatori, biathleti, saltatori e fondisti al mondo.
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Grazie a una ricetta semplice semplice spiegata dallo sciatore Kjetil Jansrud: “No jerks allowed“. Gli idioti non sono ammessi. Perché – sempre parole di Kjetil Jansrud – “crediamo che non ci sia una buona motivazione per cui essendo un buon atleta puoi anche essere un idiota. Non ammettiamo questo genere di persone nei nostri team“.
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