«Se vuoi arrivare per primo, corri da solo. Se vuoi arrivare lontano, cammina insieme agli altri.» Courmayeur, domenica 13 settembre: parte il Tor des Géants 2015 e io sono qui per seguire la gara in modo indipendente, alla ricerca di spunti che descrivano l’incredibile connubio tra il territorio valdostano e il passaggio della competizione di ultra trail forse più dura al mondo.
Il luogo della partenza è lo stesso dell’edizione precedente, ma al sole dell’anno scorso si sostituisce una pioggia fitta il cui ticchettio rimbalza sugli atleti, sulle macchine e i cavalletti dei fotografi, sul lungo tappeto rosso e sugli ombrelli del pubblico. Qualche minuto prima delle 10 si schierano i top runners e la consapevolezza di ciò che stanno per affrontare si riflette negli occhi di tutti i giganti; quali saranno i pensieri di Christophe Le Saux, già terzo due volte al Tor, o di Masahiro Ono, ambasciatore di un oriente sempre più vicino a questo tipo di gare, o ancora di Bruno Brunod, Lisa Borzani o Oscar Perez, personaggi che fanno parte della storia di questa corsa tanto folle quanto le montagne che ne caratterizzano il percorso?
Al via la concentrazione si trasforma in energia pura: i primissimi scattano, sotto l’acqua, come per una gara di 800 metri piani, attraversano Courmayeur e scompaiono verso il Col Arp (2571 m), ricordando la sensazione che lascia la vista dei camosci, quando per un tratto l’occhio riesce a seguirli, ma poi svaniscono nel loro mondo di cenge impossibili. Mi sposto a La Thuile (km 17 di gara, 1458 m) in macchina e sul ponte che la gara attraversa prima di entrare in paese mi colpisce un cartello giallo: il sentiero che conduce da qui a Coumayerur si percorre in 10 ore e 40 minuti; poco dopo le dodici arrivano i primi a La Thuile, in circa due ore, vale a dire impiegando un quinto del tempo rispetto ad una persona normale!
Sopra La Thuile, in direzione Rifugio Deffeyes (2500 m), quando finisce la strada sterrata e inizia il sentiero, c’è un posto di rifornimento abusivo pittoresco: campane, parrucche, birra fresca, musica rappresentano l’energia che gli atleti riceveranno lungo i 330 km di percorso, un ingrediente meno palpabile, ma con la stessa importanza della preparazione atletica dei giganti. Proseguo passando per il punto di rifornimento di La Joux (1624 m) e lì mi fermo a contemplare un altro ingrediente di basilare importanza per il proseguo della gara: il cibo e la birra alla spina!
L’organizzazione, composta da circa 2500 volontari, si prodiga perché nelle sette basi vita ci siano quantità industriali di pasta, riso, minestrone, patate, mocetta, carne bianca, pane fresco, fontina, fontina e fontina, senza tralasciare dolci, the, caffè, ed ettolitri di integratori; l’assistenza offre poi sostegno medico e massaggi, nonché si occupa del trasporto da base vita a base vita delle sacche coi ricambi di circa 800 persone. Guardandosi attorno nelle basi vita, a volte pare che la vera gara sia quella affrontata dall’organizzazione.
Torno verso Courmayeur e, prima di risalire la Valgrisenche, mi fermo all’arena allestita a Entrève per assistere ad una “Bataille des Reines”, ovvero una delle prove di qualifica in cui si scontrano le vacche più forti, le regine, provenienti dai vari alpeggi. Gli animali vincitori andranno alla finale regionale ad Aosta che si disputerà il 18 ottobre e alla quale parteciperanno 128 animali provenienti da 20 concorsi tutti disputati entro il territorio valdostano; anche in questo caso colpiscono i numeri: quanti alpeggi e alpigiani, quanto sia efficiente la rete dei sentieri che porta all’alpe, quanto sia profonda e radicata la tradizione.
Vado alla base vita di Valgrisenche, le nuvole sono basse, la valle si impreziosisce nascondendosi. A Valgrisenche arrivano i primi, vedo passare Boardh, Le Saux, Criado e altri che praticamente non si fermano secondo una precisa strategia di gara e proseguono con davanti una notte di pioggia; mi sistemo nell’edificio della base vita, la prima giornata di Tor volge al termine, piove forte e mi addormento con la voce dello speaker Silvano Gadin che scandisce il ritmo incostante degli arrivi. Durante la notte alcune frane al Col Fenetre impongono un primo stop di qualche ora alla gara. Alle 7 della mattina la gara ricomincia e il cielo è sereno, ma appena ripresa la Valgrisenche tutto si copre di nuovo; direzione di oggi è la Valsavaranche, Parco Nazionale del Gran Paradiso, Rhemes Notre Dames (1725), alpeggio Djouan (2232 m), tra la discesa da Col Entrelor (3002 m) e la salita a Col Loson (3299 m).
Arrivo all’alpeggio e le facce degli atleti che incrocio raccontano una notte al freddo e nella nebbia, disorientati malgrado le segnalazioni e innervositi dal vento: i colli sono infidi e i tempi di percorrenza rispetto alla precedente edizione aumentano. A tratti le nuvole si alzano e scoprono le creste innevate, guardo il Col Loson (3299 m) con il binocolo del guardaparco e la traccia preparata sotto al passo per il passaggio degli atleti contrasta netta con il paesaggio bianco e severo; la schiena d’asino del Gran Paradiso sembra cromata, i colori cambiano continuamente seguendo il passaggio delle nuvole, la natura è in continuo movimento. Dopo aver ripreso la macchina al punto di ristoro di Eux Rosses (km 79,1 di gara) scendo alla base vita di Cogne (km 102,1 di gara) e qui la qualità della cucina e la gentilezza dei volontari superano davvero le aspettative, gli atleti arrivano e ripartono in continuazione, come le nuvole che hanno caratterizzato questo primo terzo di gara.
Scendo dalla valle di Cogne per visitare Pont d’Ael, meraviglia architettonica romana risalente all’anno 3 a.C., e proseguo verso Aosta, dimenticando le fatiche dei giganti e meravigliandomi davanti agli sforzi e alle opere titaniche dei romani: il Teatro Romano di Aosta che ospitava fino a quattromila spettatori, l’Arco di Augusto, l’Arco di Donnas la cui imponenza è preceduta da una strada sormontata da una parete lunga quasi 200 metri e alta anche 12 metri che è stata scavata nella roccia, spianata e levigata come fosse marmo anche se la roccia (gneiss) non si prestava affatto, Point Saint Martin la cui leggenda si rinnova con il passaggio degli atleti accompagnati al ponte da diavoli mascherati, il ponte di Bard con alle sue spalle la straordinaria sagoma del Forte di Bard.
Tutti questi luoghi mi accompagnano verso la base vita di Donnas (km 148,7 di gara) che si trova a soli 330 m sul livello del mare ed è uno dei punti chiave della gara; arrivato alla base vita la seconda giornata si conclude con una grande dormita in uno stanzone accuratamente protetto dalla luce esterna in cui colpisce il silenzio che tutti gli atleti cercano di mantenere nel rispetto del riposo altrui. La mattina due passi lungo il “Sentiero dei vigneti” tra vitigni e castagneti lasciano intendere gli sforzi e la qualità del lavoro dei viticoltori di Donnas, ma oggi la direzione è un’altra valle, forse quella dal maggior fascino, la valle di Gressoney!
Da Saint Jean in poco tempo e ammirando le piante monumentali lungo il sentiero, tra cui alcuni larici alti 30 metri con un diametro di 1,5 metri e 500 anni d’età, si arriva ad Alpenzù (1788 m) e al rifugio Alpenzù la cortesia dei rifugisti riflette ancora una volta lo spirito di questa corsa a fil di cielo. Il tempo continua a essere pessimo, durante la discesa della valle la pioggia aumenta e se ne accorge il mio materiale lasciato nel cassone aperto della jeep; penso a quanto sia piccolo il mio disagio rispetto a quello degli atleti, soprattutto coloro che affrontano il Tor in indipendenza.
Scendendo di nuovo verso Donnas passo dal punto di ristoro di Niel in un momento di tregua della pioggia e lì si va oltre il solito menù preparando polenta “alla moda vecchia” in un grande paiolo di rame, il cuoco è un ragazzo nepalese. La pioggia rende poetiche le frazioncine Walser della valle di Gressoney, a Perloz mi fermo ad ammirare il lavoro degli scultori del legno e il rintocco degli scalpelli di questi abili artigiani riporta anch’esso all’armonia antica tra l’uomo e la montagna.
Proseguo per Courmayeur per vedere l’arrivo dei primi pensando di essere a circa metà dei miei sforzi di osservatore, invece giovedì mattina la gara viene definitivamente interrotta, quando soltanto 6 atleti sono transitati sul tappeto rosso del traguardo di Courmayeur.
Vado alla base vita di Valtournenche e nel parcheggio della struttura osservo il rientro di uno degli ultimi pullman messi a disposizione per far tornare gli atleti a Courmayeur: il pullman lentamente prende la via della valle, la gara è finita, la mente ripercorre gli ultimi giorni e sembrano passati mesi.
Credits photo: Nicola Morabito
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