Vietare la montagna per la pandemia “è cieco e demenziale”. Lo dice il presidente del CAI Vincenzo Torti in una lunga e articolata intervista a Lorenzo Cremonesi sul Corriere della Sera. Intervista in cui il presidente del Club Alpino Italiano abbandona il tradizionale aplomb istituzionale e prende decisamente posizione sui temi che interessano la montagna e le limitazioni giustificate con la pandemia e il contenimento del contagio.
«Siamo arrivati al paradosso che da una parte i nostri governanti ci chiudono gli impianti da sci e, devo dire con ottimi motivi, fanno di tutto per evitare assembramenti sulle piste e nelle località alpine. Sarebbe il momento di godere delle nostre valli e cime in silenzio, con le nostre forze, specie in questo inverno che ci regala uno stupendo manto bianco, degno delle nevicate di mezzo secolo fa. Ma, dall’altra, regolano e limitano lo sci alpinismo e l’utilizzo delle ciaspole, che sono le tradizionali pratiche della montagna al naturale per piccoli gruppi di individui comunque distanziati, in modo cieco e demenziale.»
Un netto cambio di rotta rispetto alla posizione assunta al momento del DPCM del 3 novembre 2020 quando l’associazione rilasciò un comunicato improntato alla prudenza e al senso di responsabilità. Allora si invitava al doveroso rispetto delle regole:
«In ogni caso e una volta di più ci permettiamo di invitare tutti non solo al doveroso rispetto delle regole, ma anche ad adottare, pur in presenza di possibilità dal punto di vista normativo, comportamenti improntati alla prudenza, al senso di responsabilità e del reciproco rispetto, sui quali, ben più che sui meri divieti, potrà fondarsi un ritorno alla normalità anche per quanto attiene la frequentazione della montagna e lo svolgimento delle nostre attività associative».
Oggi invece lo stesso Torti parla di fatti molto gravi, di lesione della libertà e di regole e minacce di sanzioni che non hanno nessun senso:
«Stanno avvenendo fatti molto gravi. Si sta ledendo la libertà di andare in montagna con regole e minacce di sanzioni che non hanno alcun senso. In nome della lotta alla pandemia, i nostri amministratori creano precedenti molto pericolosi: danneggiano i diritti fondamentali dell’individuo, oltreché la bellezza dell’alpinismo, fatto essenzialmente d’avventura, scoperta e anche, inevitabilmente, di una certa dose di rischio e di scelte personali».
Si riferisce alle limitazioni allo spostamento per andare a frequentare la montagna ma anche alle imminenti modifiche alla legge 363 sugli sport alpini che potrebbe introdurre l’obbligo di ARTVA, pala e sonda per qualunque tipo di escursione sulla neve. Obbligo che teoricamente già c’è, e che alcune regioni hanno già specificamente introdotto (ne parliamo in questo articolo):
«Il 14 gennaio inoltre dovrebbe riunirsi la Commissione parlamentare per modificare e integrare la legge 363 sugli sport alpini. Per esempio, c’è sul tavolo la proposta di obbligare qualsiasi ciaspolatore ad avere sempre nello zaino il dispositivo Artva per individuare i sepolti sotto le valanghe, oltre a sonda e pala. Sempre, capito? Anche quando si va nel boschetto con i figli, o con le racchette a fianco della strada di fondovalle. Il risultato sarà scoraggiare i veterani e bloccare i neofiti, che non hanno alcuna voglia di sobbarcarsi tutto quell’equipaggiamento sulle spalle per una passeggiatina».
Tra le decisioni della politica che hanno indotto il presidente del CAI a intervenire direttamente nel dibattito sulla montagna anche quella della Valle d’Aosta di vietare lo scialpinismo senza guide o maestri di sci (la notizia l’abbiamo data anche noi qui):
«Un passo che scatena la rabbia anche di tante guide, compresi alcuni loro rappresentanti di punta valdostani. Il provvedimento è prorogato sino al 15 gennaio. Non so se verrà reiterato. Spero di no. Ma l’importante è denunciarlo con chiarezza. A causa delle chiusure regionali, oltretutto, i più penalizzati sono proprio gli sci-alpinisti locali, che in genere sono ben esperti delle montagne di casa».
©RIPRODUZIONE RISERVATA