Ogni anno, la Settimana del Fiocchetto Lilla (8-15 marzo) accende i riflettori sui Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA), o meglio Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione (DNA), un insieme di problematiche complesse che vanno ben oltre la semplice alimentazione e riguardano la relazione tra corpo, mente ed emozioni. Anoressia, bulimia, binge eating disorder, ortoressia e vigoressia sono solo alcune delle sfaccettature di un disagio che colpisce milioni di persone, spesso in silenzio.
Ortoressia, che cos’è e perché dobbiamo stare attenti
Ortoressia e vigoressia sono due disturbi del comportamento alimentare meno conosciuti ma sempre più diffusi, soprattutto in un contesto in cui il culto del corpo e della salute estrema vengono spesso idealizzati. L’ortoressia si manifesta con un’ossessione patologica per il cibo sano: chi ne soffre è costantemente alla ricerca dell’alimento “perfetto”, privo di qualunque elemento ritenuto nocivo, fino al punto di compromettere la propria vita sociale e il proprio benessere psicologico.
Ogni pasto diventa un esercizio di controllo maniacale e la paura di ingerire qualcosa di “impuro” può portare a carenze nutrizionali e a un profondo isolamento.
Vigoressia, che cos’è come riconoscerla
La vigoressia, invece, è un disturbo legato all’ossessione per la forma fisica e per la massa muscolare. Chi ne è affetto sviluppa un rapporto distorto con l’allenamento, arrivando a imporsi regimi estremamente rigidi nel tentativo di costruire un corpo che rispecchi standard irrealistici. La percezione di sé si altera al punto che il proprio fisico appare sempre inadeguato, spingendo a sforzi eccessivi che possono avere conseguenze negative sulla salute fisica e mentale.
Riconoscere questi disturbi è fondamentale perché, a differenza di altre problematiche alimentari più note, possono essere mascherati da comportamenti apparentemente sani e socialmente accettati. Il confine tra benessere e ossessione è sottile e, se non si presta attenzione, si rischia di confondere la cura di sé con un controllo eccessivo che limita la qualità della vita. È essenziale promuovere una cultura dell’equilibrio, in cui alimentazione e movimento siano strumenti di benessere e non gabbie mentali.
Infatti, ciò che ancora fatica a cambiare è il modo in cui parliamo di peso, cibo e alimentazione. Per prevenire i disturbi alimentari, serve un cambiamento culturale profondo: dobbiamo imparare a raccontare il cibo e il corpo in modo sano e inclusivo, senza colpevolizzazioni o ossessioni per la forma fisica. La Settimana del Fiocchetto Lilla ci ricorda che il cibo è parte della vita, non un nemico da combattere. Cambiamo insieme il modo di raccontarlo: con più equilibrio, rispetto e libertà.
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Perché le parole contano (più di quanto pensiamo)
Viviamo in una società che celebra la magrezza e demonizza il grasso, facendo sembrare normale l’idea che per essere in salute si debba “mangiare pulito” e “bruciare calorie”. In realtà, ogni corpo ha la sua storia e le sue necessità. Frasi apparentemente innocue come “oggi faccio un peccato di gola”, “sei dimagrito, stai benissimo!”, o “quella torta è una bomba calorica” rinforzano una mentalità che vede il cibo come un premio o una colpa, e non come un elemento essenziale di piacere, nutrimento e socialità.
Questa narrazione può avere conseguenze serie, soprattutto nei più giovani, spingendoli verso comportamenti ossessivi. L’ortoressia, ovvero la fissazione per il “mangiare sano”, e la vigoressia, la dipendenza dall’attività fisica per migliorare il proprio aspetto fisico, non sono scelte di vita virtuose, ma vere e proprie ossessioni che limitano la libertà e il benessere di chi ne soffre.
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DCA: la punta di un iceberg che va oltre il peso
I disturbi alimentari non sono solo una questione di peso e aspetto fisico, ma spesso rappresentano un tentativo di gestire emozioni difficili, ansia, stress e senso di inadeguatezza. Il cibo diventa una strategia di controllo o una forma di conforto, e il corpo il bersaglio di frustrazioni profonde.
Riconoscere i segnali di un rapporto disfunzionale con il cibo è il primo passo per intervenire. Tra i campanelli d’allarme ci sono:
- Eviti sempre più cibi “proibiti”? Potrebbe essere il segno di una crescente rigidità alimentare.
- Ti senti in colpa dopo aver mangiato qualcosa di diverso dal solito? La relazione con il cibo potrebbe aver perso la sua spontaneità.
- L’allenamento è diventato un obbligo? Se muoversi è una punizione per ciò che si mangia, il benessere non è più la priorità.
Come cambiare la narrazione sul cibo
Per costruire una società più consapevole e sana, è fondamentale cambiare il modo in cui parliamo di cibo e corpo, liberandoci da giudizi e schemi rigidi. Il cibo non dovrebbe essere etichettato come “buono” o “cattivo”, ma considerato per ciò che realmente è: un elemento essenziale della nostra vita che risponde a gusto, cultura e necessità personali.
Allo stesso modo, il valore di una persona non può essere misurato in chili o centimetri: ciò che davvero conta è la vitalità, l’energia, l’espressione autentica di sé. È importante anche ricordare che il benessere è ciclico e che il corpo attraversa trasformazioni nel tempo e nelle diverse fasi della vita.
Accettare questi cambiamenti è parte di un rapporto equilibrato con sé stessi. Infine, il cibo non è solo nutrimento, ma anche piacere ed emozione: mangiare con gioia, senza ansie o sensi di colpa, è un aspetto fondamentale del vivere bene. La condivisione e la convivialità sono pilastri della nostra cultura alimentare, come insegna la Dieta Mediterranea, e dovrebbero rimanere al centro del nostro modo di nutrirci.
Riconoscere e supportare chi soffre di DCA
Se sospetti che una persona vicina a te abbia un disturbo alimentare, l’ascolto empatico è il primo aiuto. Evita di dare consigli non richiesti su dieta ed esercizio fisico, e piuttosto offri il tuo supporto con frasi come “Ti vedo in difficoltà, vuoi parlarne?” oppure “Sono qui per te, senza giudizio”. Incoraggiare il dialogo può essere il primo passo per chiedere aiuto a professionisti specializzati.
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Monia Farina è Biologa e nutrizionista. Già referente provinciale per l’ordine Nazionale dei Biologi, è ideatrice del metodo Mangiaperpiacere di educazione alimentare per il benessere della persona.
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