Lo sanno tutti che bastano pochi giorni in montagna e stiamo già meglio, ma in pochi sanno il perché. Ora una ricerca svolta alla University of Colorado, e più specificamente nel suo prestigioso Altitude Research Centre, sfata alcune credenze scientifiche e dimostra come il nostro corpo sappia adattarsi alle altitudini più elevate piuttosto velocemente, e come i cambiamenti nelle cellule del sangue che avvengono quando saliamo in montagna durino nel tempo, di fatto migliorando le nostre condizioni di salute. Tanto da poter dire che bastano pochi giorni in montagna e il nostro corpo è più in forma.
Ecco perché bastano pochi giorni in montagna e stiamo già meglio
Abbiamo scritto tante volte di come stare nella natura sia il segreto della longevità, del perché le famiglie outdoor siano le più felici. Ora lo studio americano viene a dirci che andare in montagna, oltre a renderci più felici, porta altri benefici concreti, per la capacità di cambiamento dei globuli rossi. La ricerca si è concentrata sugli effetti dei mutamenti della pressione atmosferica sui globuli rossi del sangue e sulla capacità delle cellule di trattenere l’ossigeno quando siamo ad altezze elevate e quando cioè l’aria scarseggia di ossigeno.
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Ascesa e risalita
Alcuni volontari di età compresa fra i 19 e i 23 anni sono stati spediti sul monte Chacaltaya (5260 metri) in Bolivia, per poi scendere a 1525 metri per 7 giorni e in seguito ancora risalire verso la cima. L’equipe del Colorado ha monitorato costantemente i valori del sangue dei partecipanti, notando come la seconda ascesa al Chacaltaya sia stata più facile per i volontari, perché le cellule hanno subito un mutamento nella prima salita che ha cambiato la loro capacità di assumere ossigeno e l’hanno mantenuta anche una volta scesi a 1525 metri.
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Cambiamento duraturo
Contrariamente a quello che si è sempre pensato, i globuli rossi, che vengono prodotti dal nostro organismo a una media di 2 milioni al secondo e che hanno un ciclo vitale di circa 120 giorni, non vengono rimpiazzati da altri, ma si modificano in modo tale da conferire più ossigeno al corpo. Il mutamento di queste cellule rimane tale per tutta la durata della loro vita; significa che anche quando scendiamo a una altitudine inferiore, possiamo mantenere la capacità di trattenere ossigeno acquisita a altezze elevate, con la conseguenza di rendere più agevole la seconda scalata.
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Paradigma che cambia
Lo studio, pubblicato su Journal of Proteome Research, dimostra che il processo di cambiamento strutturale dei globuli rossi è più complesso di quello che si pensava, il che fa dello studio americano un importante passo avanti verso la comprensione di questi meccanismi biologici. Finora si era sempre sostenuto che ad altitudini elevate quali possano essere il campo base del monte Everest in Nepal, il corpo venga spinto a produrre nuovi globuli rossi più “potenti”, cioè meglio in grado di fornire ossigeno ai muscoli. Ma se il ciclo vitale di queste cellule è di 120 giorni, la loro sostituzione con altri più efficienti sarebbe molto lunga e non spiega come ci si possa adattare velocemente alle alte pressioni, dove l’aria arriva a contenere la metà dell’ossigeno presente al livello del mare.
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La montagna è in noi
La scoperta del processo di mutamento dei globuli spiega invece perché ci basta poco tempo per adeguarci alle condizioni della montagna e suggerisce come la montagna rafforzi il nostro corpo e le sue capacità di adattamento. Se le popolazioni che vivono ad altezze elevate come quelle degli altopiani himalayani o andini hanno una variante genetica che permette loro di sopravvivere a quelle quote, chi parte dal livello del mare per scalare una vetta può farlo per il meccanismo del mutamento cellulare, che permette le prestazioni necessarie a raggiungere un ottomila. E chiunque, insomma, può adattarsi alla montagna oltre i 2500 metri.
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