Il polpaccio è un muscolo fondamentale ma trascurato dai fitnessisti. La conseguenza è una perdita di tono, con riflessi sull’appoggio del peso nel camminare. I polpacci rivelano uno stato di forma buono o pessimo proprio secondo il tono e da questi un tecnico in gamba riesce a capire se ci si sta allenando con criterio. Non conta la dimensione ma come appaiono nell’insieme: troppo esili sono antiestetici nell’uomo come nella donna.
Camminata, polpacci, stretching: connessioni
Un albero senza radici è a rischio al primo colpo di vento. Allo stesso modo, un corpo atletico mancante di tono nei polpacci è un’opera incompiuta. La strategia ideale, quando sono fuori forma, è allenarli all’inizio della seduta in palestra, evitando di trascurarli. Molti tendono a stimolare i polpacci sollevando pesi esagerati con un’escursione di movimento limitata, più o meno a scatti.
Ciò non porta risultati né nel volumizzarli, nè nella ricerca di tono e armonia, desiderio delle fitnessiste doc abituate a curare ogni dettaglio. L’allenamento giusto è perciò con carichi calibrati e movimenti controllati, senza scatti. Le super-serie poi, cioè la combinazione di due esercizi seguìti da saltelli veloci e ricaduta morbida saranno utili per costruire polpacci perfetti, poiché si otterrà intensità nell’allenamento senza ricorrere a pesi pesanti che sovraccaricherebbero inutilmente la schiena.
E lo stretching?
A quando l’appuntamento con questo (quasi) sconosciuto? Sull’allungarsi o “strecciare” come si dice in giro, c’è ancora confusione. Anzitutto l’outfit corretto incide. Da qualche tempo, soprattutto nel calcio, si usa indossare calze che vanno oltre il ginocchio, e con temperature fredde quell’area della gamba che parte dal polpaccio e si estende al posteriore della coscia è la più colpita. Una calza meno “Socks-style” e più “Stockings-style” è sempre indicata.
Dai tempi in cui si passava una montagna di minuti a tirarsi i posteriori della coscia anche a basse temperature, “Sennò non si rende nel corso della performance”, si è passati all’era del seguente assunto: “Inizio subito con una serie ai polpacci col peso pesante, tanto ci ho già camminato sopra”. Quindi? Cosa è meglio fare prima dell’allenamento? Scaldarsi con la bike o passare subito allo stretching? La soluzione è contingente: sbagliato fare stretching duro, all’aperto, in inverno, a zero gradi. Ma altrettanto grave è, dopo il running, saltare in auto e correre a casa senza allungarsi per almeno cinque minuti. Questi esempi rappresentano gli estremi e in mezzo ci sta tutto.
Prima, durante e dopo
Approvato perciò lo stretching leggero tra una serie e l’altra in modalità ‘soft’, così da incidere su battito cardiaco e concentrazione che non devono mai abbassarsi troppo: non potremmo prepararci a un esercizio impegnativo se il battito sarà tornato a zero e se la temperatura ‘muscolare’ sarà bassa. Ma attenzione a forzare con gli allugamenti, che indeboliscono il muscolo e lo frenano nel rendimento sulla serie successiva. A questo riguardo c’è differenza nello stretching se si à alle prime armi o siamo atleti avanzati: paradossalmente è l’atleta professionista ad aver più bisogno di stretching. Se per un atleta alle prime armi stretching e riscaldamento richiedono qualche minuto, per un atleta avanzato occorrerebbe mezz’ora. Trattasi in buona sostanza del 50% del workout-time di una persona normale. Il classico paragone con l’utilitaria o la fuoriserie regge: guidando una Ferrari avremo bisogno di più tempo per scaldarla. Per chiudere, bene un po’ di stretching a inizio allenamento, bene un po’ durante e benissimo (molto) alle fine.
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