Ho scoperto di essere un Weekend Warrior, e questa scoperta mi ha cambiato un po’ la prospettiva. Nel senso che mi sento (meno) in colpa. Perché non è stato sempre così, e per me non dovrebbe essere proprio così. Ma nonostante tutti i no-excuse, i tentativi di organizzarmi, i consigli motivazionali e pratici, dalla pandemia in poi son sempre più scivolato tra coloro che riescono a fare sport in maniera soddisfacente solo nel weekend. Da cui l’appellativo appunto di weekend warriors.
Ma chi sono i Weekend Warriors?
Tutto nasce da uno studio del 2022 (Association of the “Weekend Warrior” and Other Leisure-time Physical Activity Patterns With All-Cause and Cause-Specific Mortality: A Nationwide Cohort Study) in cui si voleva capire se la quantità settimanale raccomandata di attività fisica da moderata a vigorosa (MVPA) abbia gli stessi benefici sul rischio di mortalità, e in generale sul benessere complessivo delle persone, quando le sessioni di attività sono distribuite nell’arco della settimana rispetto a quelle concentrate in un minor numero di giorni.
In pratica, se secondo l’OMS tutti dovrebbero muoversi regolarmente praticando almeno 150-300 minuti di attività aerobica moderata o almeno 75-150 minuti di attività intensa o una combinazione equilibrata fra le due nel corso della settimana, farlo tutto e solo nel weekend o diluirlo nel corso dei 7 giorni è la stessa cosa o ci sono differenze sul benessere complessivo e sulla riduzione dei parametri di rischio per la salute?
Pantaloncini tecnici, scarpe high-performance, bici in carbonio e si esce (la domenica mattina) a comandare
Ecco, i Weekend Warriors sono (siamo) tutti quelli che vediamo nel fine settimana, principalmente la domenica mattina, in giro a sfiancarsi di corsa, pedalate, nuotate in piscina (quando in effetti le corsie son più vuote che in settimana) ma anche padel, tennis e così via. Tutti vestiti iper-tecnici, tutti iper-competitivi, tutti sudati, stravolti e però felici. Con qualunque meteo, anche a Ferragosto e i più guerrieri anche nelle feste comandate.
Ecco, lo sono diventato anche io, da dopo la pandemia, per motivi che poco hanno a che fare con la pandemia e solo per una coincidenza temporale. E mi sentivo molto in colpa. Molto in colpa rispetto a quando, prima, riuscivo a essere più regolare, a diluire meglio il mio desiderio di fare attività, tenermi in forma, liberare la mente con le endorfine da (un po’ di) fatica. Adesso molto raramente riesco a ritagliarmi le 2 volte per andare a correre nei “giorni lavorativi”, quasi a fatica riesco a farlo una volta, e così nel fine settimana faccio una scorpacciata, se non propria indigestione, di attività. E oltre a sentirmi un po’ in colpa per non riuscire a fare come avrei voluto, mi stavo anche un po’ preoccupando, per due motivi: che non fosse abbastanza, e che il troppo stroppia. Cioè che arrivare la domenica sera con tutti i muscoli, e non solo, doloranti, non fosse poi in effetti il viatico verso il benessere.
Ogni movimento conta
In realtà lo studio condotto dalla Universidade Federal de São Paulo in Brasile conferma l'”Every Move Counts” lanciato dall’OMS proprio nel 2020, in piena pandemia. E cioè che l’importante è muoversi, anche poco (che è sempre meglio di niente), che aumentare la quantità è ancora meglio, comunque si riesca a farlo, e che il vero problema è la sedentarietà.
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Un po’ di dati dello studio: sono stati presi in esame 351.000 adulti americani, tra fisicamente inattivi (meno di 150 minuti a settimana di attività fisica almeno moderata) e fisicamente attivi (almeno 150 minuti a settimana di attività moderata o 75 minuti di attività intensa); gli “attivi” sono poi stati ulteriormente classificati in “guerrieri del weekend” (una o due sessioni settimanali) e “regolari” (almeno tre sessioni a settimana di esercizio), oltre che per frequenza, durata e intensità dell’attività svolta. In media queste persone sono state seguite per una decina di anni, confrontando nei vari gruppi i numeri di decessi per malattia tumorale o cardiovascolare, il cui rischio è influenzato appunto dallo stile di vita, compresa l’attività fisica. Be’, a parità di movimento non sono emerse differenze rilevanti tra i gruppi, e a fare la differenza è fare o non fare attività fisica. Indipendentemente se concentrata o diluita.
Confesso che mi sento meno in colpa
Ora, al netto di qualche vulnus o bias nella ricerca (tipo che l’indagine è stata condotta tramite questonario soggettivo e non sono stati considerati altri fattori come la dieta) ammetto che lo studio mi fa sentire meno in colpa. Certo prima avevo “prestazioni” (rigorosamente tra virgolette) migliori, correvo o pedalavo distanze più lunghe, facevo più dislivello, avevo tempi migliori.
Ma è anche verso che la pandemia per me ha rappresentato anche il passaggio dai 40 ai 50 anni, e che insomma come ho già detto le prestazioni non mi interessano più. E quindi sì, nonostante vorrei essere più regolare, più continuo, alla fine anche essere un weekend warrior non è male.
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