Fare o avere? Questo è il dilemma della felicità

La chiave della felicità è nel vivere esperienze più che nel possedere, e abbiamo una risposta scientifica a questo atavico dilemma

Fare o avere? Questo è il dilemma della felicità

Nella vita ci sono cose più importanti dei soldi, solo che costano troppo. Se anche voi avete sentito raccontare più di una volta questo divertente paradosso, sappiate che ora c’è una risposta pronta: tra le cose importanti che non costano troppo c’è la felicità. Sì, la felicità, quella che gli americani hanno messo come diritto nella loro Dichiarazione d’indipendenza e quella per la cui ricerca si sono spese pagine e pagine di pensieri e riflessioni.

Fare o avere? Questo è il dilemma della felicità

La felicità non sarebbe nello shopping, ma nel doing, per dirla in rima. “Fare o avere? Questo è il dilemma”, ma nemmeno troppo: è almeno da un decennio (dallo studio di Leaf Van Boven e Thomas Gilovich pubblicato sul Journal of Personality and Social Psychology) che sappiamo che vivere esperienze è molto più appagante che comprare oggetti. È tra i motivi per cui andare in montagna ci rende felici, come abbiamo raccontato qui.

Per essere pratici: spendere dei soldi per fare un viaggio rende molto più felici che spendere la stessa cifra per comprare un oggetto. E non solo in termini di picchi di felicità, ma anche in termini di durata nel tempo.

Il meccanismo psicologico è stato approfondito sempre dal dottor Thomas Gilovich della Cornell University in un nuovo studio intitolato Waiting for Merlot: anticipatory consumption of experiential and material purchases, e pesca nel profondo del nostro essere.

Intanto la felicità ha a che fare con l’immaginazione: quando compriamo un oggetto, spesso ne sappiamo già praticamente tutto (dimensioni, prezzo, caratteristiche, colori e così via); di un’esperienza invece possiamo solo immaginare come sarà, e per quanto ci sia già stata raccontata per noi sarà sempre unica e irripetibile.

Fare o avere? Questo è il dilemma della felicità

C’è un altro aspetto: l’attesa per il possesso di un oggetto ha più a che fare con l’impazienza che con l’immaginazione; l’attesa per un’esperienza è invece come quella pubblicità che dice che l’attesa del piacere è essa stessa piacere. Non a caso lo studio di Gilovich dimostra come chi è in coda per acquistare un bene materiale ha livelli di stress più elevati (avete presente le scene manzoniane da assalto ai forni del Black Friday che apre la stagione dello shopping di Natale negli States?). Al contrario, spesso condividere l’attesa per un’esperienza porta ad avere livelli superiori di empatia e condivisione (mai fatta la fila per entrare a un concerto?).

Poi gli oggetti invecchiano e – salvo rari casi – una volta terminato il loro ciclo funzionale di vita si buttano. E si dimenticano. Le esperienze non invecchiano, si arricchiscono nel ricordo: ci sono viaggi, emozioni, incontri, panorami e pensieri che non si scordano più. Ed è il motivo per cui stare nella natura ci fa comprendere meglio le emozioni, come abbiamo raccontato qui.

C’è poi il fatto che, prima o poi, agli oggetti ci abituiamo. Fosse anche che vinciamo la lotteria di capodanno e compriamo l’auto più lussuosa del mondo, la prima volta che la guidiamo diciamo “wow”, ma dopo una settimana torna ad essere una questione di chiudere una portiera, mettere in moto e ingranare la marcia. È il cosiddetto paradosso della felicità, o paradosso di Easterlin, dal nome del professore californiano di economia che ebbe il merito, negli anni Settanta, di dimostrare come c’è una soglia oltre la quale la felicità non aumenta con il reddito (ma anzi, talvolta diminuisce pure). Alle esperienze non ci si adatta mai: se vincessimo il Turista per sempre, potremmo decidere di viaggiare senza sosta, e ogni giorno sarebbe diverso dal precedente e dal successivo, con lo stesso carico di elettrizzanti aspettative.

Fare o avere? Questo è il dilemma della felicità

C’è un altro aspetto da considerare, ed è quello della negatività. Un oggetto agognato, comprato e poi risultato insoddisfacente è fonte di stress: abbiamo buttato via i nostri soldi. Un’esperienza fallimentare con il tempo diventerà una risorsa positiva: una storia da raccontare, un ricordo, una lezione di vita.

Certo, ci sono anche quelli che non amano le sorprese, che mal tollerano l’incertezza e che non vogliono sentir parlare di imprevisti. Ma qui non si tratta di partire tutti per il giro del mondo in solitaria: anche un viaggio organizzato da un tour operator è un’esperienza in grado di regalare più felicità di un pomeriggio di shopping compulsivo.

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