Dovremmo camminare a piedi nudi più spesso, e questo indipendentemente dal lungo dibattito sul barefoot running che ha preso il via ormai più di 10 anni fa con la pubblicazione del libro Born To Run di Christopher McDougall. A sostenerlo, o ribadirlo ancora una volta, è una recente e approfondita review pubblicata dalla British Association of Sport and Exercise Medicine che ha cercato di indagare l’incidenza degli infortuni tra i podisti da un punto di vista evoluzionistico.
Perché dovremmo camminare a piedi nudi più spesso
La ricerca del BMJ prende il via da quando gli esseri umani si sono evoluti per la prima volta in camminatori bipedi ed eretti, e da allora sono diventati camminatori e corridori sulle lunghe distanze. Questo è stato possibile grazie ad alcune caratteristiche esclusive degli esseri umani: l’arco plantare, il lungo tendine d’Achille e la sudorazione, che permette agli esseri umani di tenere sotto controllo la temperatura corporea anche quando camminiamo o corriamo per lunghe o lunghissime distanze.
Queste 3 caratteristiche hanno permesso al genere umano di spostarsi a piedi nudi su lunghe o lunghissime distanze per circa 6 milioni di anni. Ora sappiamo dalle ricerche archeologiche che le prime calzature sono comparse circa 30.000 anni fa, ma è solo dal secolo scorso, tra Ottocento e Novecento, che sono comparse le scarpe per come le conosciamo. Ed è solo dagli anni Settanta del Novecento che sono comparse le scarpe con una spessa intersuola di gomma. 50 anni su un percorso evoluzionistico di milioni di anni che però, dal punto di vista delle ricerche scientifiche, suggeriscono come le scarpe ammortizzate o imbottite ormai sinonimo di attività sportiva potrebbero modificare il modo in cui camminiamo e corriamo e, in definitiva, fare più male che bene, contribuendo a indebolire il piede e causando buona parte degli infortuni sportivi.
Le scarpe per come le conosciamo esistono solo dall’Ottocento
Studi e ricerche sul tema sono ormai numerosi. Su Nature per esempio si dimostra come resistenza e rigidità dei piedi sono direttamente correlati all’uso delle calzature. Su The Conversation si riporta uno studio condotto tra ragazzi e ragazze tra i 12 e i 19 anni della Nuova Zelanda che, camminando per lo più scalzi, potevano non solo correre gare sprint o di media distanza a piedi nudi ma riportavano anche tassi di infortunio inferiori rispetto a gruppi di confronto simili per età.
Inoltre una ricerca pubblicata sul National Center for Biotechnology Information riporta come una percentuale fino al 50% dei podisti ha riportano almeno un infortunio, principalmente a ginocchia, tibie, caviglie e piedi, a ossa, muscoli e tendini: secondo i ricercatori una percentuale troppo alta per una specie che nell’arco di milioni di anni si è adattata a correre per lunghe distanze a piedi nudi.
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Come correvamo prima di avere le scarpe
Da queste e altre ricerche sul tema è partita la revisione del BMJ che ha analizzato il modo in cui gli esseri umani correvano prima di cominciare a calzare le scarpe e il modo in cui le calzature lo hanno modificato. Ciò che emerge è che a ogni contatto del piede al suolo, la pelle, i nervi, i tendini e i muscoli inviano al cervello e al midollo spinale una enorme serie di informazioni sull’esatta posizione del piede. Informazioni che riguardano tensione, allungamento e pressione sui tessuti e consentono ai muscoli di adattare l’appoggio in modo da assorbire l’impatto e limitarne le conseguenze traumatiche.
Tutto ciò è valso fino agli anni Settanta, quando sono comparse le scarpe ammortizzate e hanno cominciato a essere pubblicizzate come scarpe che potevano ridurre o prevenire le lesioni da corsa. Questa idea ha cominciato a farsi strada anche nella letteratura scientifica, in particolare per quanto riguarda la tendinopatia del tendine d’Achille: “buone” scarpe ammortizzate erano in grado di ridurne l’incidenza,”cattive” scarpe non ammortizzate ne erano un fattore di rischio (questi studi dei primi anni Ottanta sono ancora disponibili in Rete, per esempio qui e qui).
Si è ridotta la risposta adattiva motoria
Secondo la British Association of Sport and Exercise Medicine invece calzature imbottite o ammortizzate ridurrebbero la quantità e la qualità di informazioni che dai piedi risalgono al cervello e al midollo spinale, e la conseguente risposta adattiva motoria, portando così a una meccanica di corsa, o camminata, più sincopata, brusca, traumatica. A ragione di ciò c’è il fatto che le scarpe ammortizzate consentono un appoggio del piede con una postura del corpo più verticale, con una gamba più estesa e quindi con una leva meccanica che frena, in modo traumatico, anziché favorire la fluidità di corsa. E da questa modificata meccanica di corsa sembrerebbero derivare buona parte dei tipici infortuni dei runner. Inoltre l’uso quotidiano e prolungato di calzature ammortizzate provocherebbe anche un indebolimento del piede e il collasso dell’arco plantare.
La cosa interessante, e dimostrata scientificamente, è che questo processo è reversibile. Secondo una ricerca bastano 8 settimane di camminate a piedi nudi o con scarpe “minimaliste” per far ritrovare al piede forma e tono muscolare. Di più: se molti runner e atleti fanno ricorso a esercizi e attrezzi per la propriocezione e l’equilibrio – dalle tavolette alle slackline, i cui benefici sono indubitabili – la soluzione potrebbe essere più semplice: camminare a piedi nudi più spesso.
Camminare a piedi nudi: meno lesioni e patologie
Camminare a piedi nudi, e non necessariamente correre a piedi nudi. Perché se una transizione lenta e graduale al barefoot riduce lesioni e patologie a ginocchia e tallone, un passaggio repentino dall’uso delle scarpe ammortizzate alla corsa a piedi nudi è invece causa comprovata di lesioni ai tendini posteriori, quelli del polpaccio e quello d’Achille (il motivo sarebbe che la corsa barefoot impone un passo più breve e un uso più sciolto e flesso di anca, ginocchia e caviglie). E camminare a piedi nudi significa sì scalzi ma anche con calzature minimaliste, che non è esattamente la stessa cosa ma comunque quanto di più vicino si possa sperimentare.
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