Ho cominciato a pensare alla differenza tra l’età che hai e l’età che ti senti nel 2021, durante la seconda ondata della pandemia. Il giorno del mio 50° compleanno ho postato una foto di quando avevo 20 anni, insieme a un dialogo tra il me ventenne e il me cinquantenne. In molti mi chiesero: “Ma sei tu in foto?”. Io mi vedevo ancora esattamente così, certo con qualche pelo bianco in più, ma sostanzialmente quello: negli anni non ho preso peso, non ho perso i capelli, non ho avuto stravolgimenti epocali del mio aspetto fisico.
La differenza tra l’età che hai e l’età che ti senti
Almeno non cambiamenti tali da suscitare una riedizione del dialogo tra Fabris e Finocchiaro in Compagni di Scuola di Verdone:
Fabris: Ma come, non mi riconosci?
Finocchiaro: No!
Fabris: Sono Fabris!
Finocchiaro: Fabbris? Ma che me sta a pijà per culo? Ahò!
Fabris: Sono un po’ dimagrito, un po’ stempiato… Ma sono Fabris, primo banco a destra...
Finocchiaro: Nun ce prova’… Tu c’hai avuto ‘n crollo… d’ottavo grado d’a scala Mercalli però!
Eppure tra come mi vedevo io allo specchio e come mi vedevano le persone che mi hanno conosciuto dopo i 30 anni c’era una discrepanza. Una profonda discrepanza. Per loro ero praticamente due persone diverse.
Lo shock anagrafico
Ho rivissuto lo stesso shock anagrafico l’anno successivo, quando finalmente abbiamo potuto organizzare un lungo weekend con gli amici storici per festeggiare i 50 anni e commemorare il primo amico che ci aveva lasciato. In perfetto stile Il Grande Freddo, film generazionale cult degli anni Ottanta, abbiamo affittato una villa con piscina e abbiamo passato 3 giorni a ballare, bere, dormire poco, scherzare, confessarci i sogni della giovinezza e la realtà del presente. Per 3 giorni mi è sembrato che non fosse cambiato nulla, la stessa spensieratezza e la stessa idiozia di quando eravamo “giovani, carini e disoccupati”.
Poi son saltate fuori le foto, e ho visto ciò che eravamo: una gita di uomini e donne cinquantenni. Splendidi, ma cinquantenni.
E allora sono andato a rileggere una vecchia poesia di Charles Bukowski, La Tragedia delle Foglie, che contiene 4 versi che vorrei sulla mia tomba, quando sarà il momento:
sbarbai accuratamente con un vecchio rasoio
l’uomo che un tempo era stato giovane e,
così dicevano, geniale; ma
questa è la tragedia delle foglie,
Ci deve essere un errore!
Ok, non mi è ancora successo che mi si ceda il posto in autobus, ma ho già vissuto l’effetto straniante del ragazzo o della ragazza che ti chiedono l’accendino e ti si rivolgono con il “lei”. E passi pure se a farlo è uno studente universitario appena post-adolescente, ma ormai lo fanno anche i trentenni. Anche se io mi sento praticamente un loro coetaneo. Insomma: ci deve essere un errore!.
Ho la fortuna di lavorare con ragazzi e ragazze giovani. Ventenni, quasi trentenni, appena trentenni. E ho la fortuna di avere come hobby quello di allenare squadre di pallavolo. Anche lì, ventenni o quasi, quasi trentenni, appena trentenni.
Potrebbero essere miei figli, eppure in pausa pranzo, all’aperitivo dell’ufficio, sul pullman quando andiamo alle partite in trasferta mi sento ancora un loro coetaneo.
Il fatto è che per loro non lo sono: per loro sono ciò che sono, un cinquantenne con due figli ormai adolescenti, un matrimonio più che ventennale, un mutuo quasi estinto, due genitori anziani, un ruolo di responsabilità. Sic transit gloria mundi…
Una terribile difficoltà nel collocarci nel tempo
Tutto questo non capita solo a me, ma è un sentimento molto diffuso tra chi è tra i 40 e i 60 anni, e talvolta anche oltre. Insomma, sembra che abbiamo una terribile difficoltà nel collocarci nel tempo.
Empiricamente il 99% delle persone non tende a sentirsi più alta o più bassa di quello che è, né ragionevolmente più magra o più corpulenta. Però se provi a fare la domanda “Ma tu quanti anni hai nella tua testa?” (che è diversa da “Ma tu quanti anni ti senti?” che riguarda invece la percezione del fisico) tutti la capiscono al volo e ti rispondono con l’età soggettiva. Età soggettiva che mediamente è del 20% inferiore di quella stampata sulla carta d’identità.
Lo ha dimostrato uno studio del 2006 condotto da David C. Rubin (Psychological and Brain Sciences, Duke University) e Dorthe Berntsen (University of Aarhus, Aarhus, Denmark) dal titolo eloquente People over forty feel 20% younger than their age: Subjective age across the lifespan .
Età soggettiva, età biologica, età anagrafica
L’età soggettiva – l’età che le persone pensano di avere – è stata misurata in un campione rappresentativo di 1.470 adulti danesi tra i 20 e i 97 anni attraverso interviste personali a domicilio. E i risultati sono stati sorprendenti.
Gli adulti sopra i 40 anni percepiscono se stessi, in media, circa il 20 percento più giovani della loro età effettiva senza distinzione tra variabili demografiche come genere, condizione economica, istruzione. E quando la discrepanza tra l’età soggettiva e quella effettiva viene calcolata in proporzione all’età cronologica, non si osserva alcun aumento dopo i 40 anni: gli intervistati più anziani si sentono comunque il 20% più giovani della loro età effettiva.
In media, gli adulti di età inferiore ai 25 anni invece hanno riportato un’età soggettiva più avanzata. In pratica un’età soggettiva basata sullo sviluppo della durata della vita rispetto a una visione negativa dell’età. O detto in parole povere: i quarantenni e le quarantenni si percepiscono più giovani, i ventenni e le ventenni più grandi (non più vecchi, più grandi).
Il discorso è uscito in occasione del 30° compleanno di una collega: per rassicurarla dall’angoscia le ho confessato che in retrospettiva, le decadi che ho vissuto meglio, sentendomi al massimo delle mie possibilità, sono state quelle dei 20 e dei 40 anni, mentre ho vissuto malissimo la decade dei 30 anni. Mi sentivo più grande, più adulto di quello che effettivamente ero, e anche rivedendo oggi le foto (le foto degli ultimi matrimoni, delle prime vacanze coi figli piccoli, delle ultime vacanze senza figli) la sensazione è quella di vedere chi cercava di adeguarsi al mondo dei genitori boomer.
Praticamente come presentarsi in anticipo all’esame della prostata.
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Misura di tutte le cose
Questi discorsi hanno il rischio di farci sentire un po’ “misura di tutte le cose”, soprattutto se il nostro sentimento è corroborato da qualche ricerca scientifica come quella della Rubin-Berntsen Rule. Come se tutto il mondo fosse in preda a una Sindrome di Peter Pan, pronti a vendere l’anima al diavolo come un Faust o un Dorian Gray qualsiasi in cambio di un ultimo bacio pieno di giovinezza, sapienza e potere.
Allora conviene leggere anche la meta-analisi condotta da Hans-Werner Wahl nel 2021 (Subjective Age From Childhood to Advanced Old Age: A Meta-Analysis) da cui emergono sostanziali differenze culturali: nelle società asiatiche in cui gli anziani sono trattati con maggior riverenza e hanno maggior supporto dalla famiglia allargata composta da figli e nipoti, ci si percepisce mediamente più in linea con la reale età anagrafica senza bisogno di sentirsi più giovani per tenere aperto un orizzonte di speranze, progetti e possibilità.
Insomma, più che Forever Young pare proprio che si possa accettare la propria (terza) età con serenità e ottimismo, senza per forza sentirsi in un corridoio di porte chiuse, rimpianti e frustrazioni. Che poi è quello che ci insegna la storia di Anna Mongodi, pensionata che a 78 anni ha aperto la Partita IVA perché i suoi incassi superano il limite per la ritenuta d’acconto e non ha nessuna intenzione di passare il pomeriggio a giocare a carte al centro anziani.
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