Vincere non è importante è l’unica cosa che conta: perché questa è la più brutta frase mai detta sullo sport

Vincere non è importante è l'unica cosa che conta

“Vincere non è importante è l’unica cosa che conta” è la più brutta frase mai detta sullo sport, almeno nell’accezione che tutti oggi le riconosciamo. Ovvero quella attribuita a Giampiero Boniperti da Marco Pastonesi e Giorgio Terruzzi nel libro “Palla Lunga e Pedalare” del 1992: e cioè che se non vinci hai fallito, che il secondo posto non conta, che sotto il primo posto sono tutti perdenti.

Vincere non è importante è l’unica cosa che conta

Nella stagione 2012-2013 la frase “Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta” è stata anche cucita all’interno delle maglie della Juventus benché in questa forma non sia nemmeno originale ma una pessima traduzione.

Vincere non è importante è l'unica cosa che conta

La frase originale era infatti “winning isn’t everything, it’s the only thing”, ed è attribuita a coach Henry Russell “Red” Sanders, un allenatore di football di UCLA che ai propri atleti stava dicendo un’altra cosa: che “non è importante vincere, è l’unica cosa che conta”, cioè che più che la vittoria contano la voglia e l’impegno che si mettono per raggiungerela. “The will to win“. E il significato è sensibilmente diverso.

Vincere non è importante, o l’importante è partecipare? Il vero significato

La brutta traduzione e reinterpretazione di “winning isn’t everything” fa il paio con l’idea che ci siamo fatti oggi del detto olimpico “l’importante non è vincere, ma partecipare”. Frase attribuita erroneamente al barone Pierre de Coubertin che in realtà citava un vescovo della Pennsylvania, tale Ethelbert Talbot. Il significato vero è che “partecipare è importante”. Importante per due motivi: perché nell’idea di de Coubertin partecipare ai Giochi Olimpici avrebbe significato una tregua dalle guerre (cosa che non successe tanto nella Prima quanto nella Seconda Guerra Mondiale, e che non è successa nemmeno in seguito); e perché solo partecipando si ha la possibilità di vincere. Cioè di mettere in campo voglia e impegno, quel “the will to win” indispensabile per poter ambire alla vittoria.

Bisogna anche saper perdere

La cultura tossica della vittoria a ogni costo pervade ormai ogni livello dello sport, dalle massime competizioni alle gare giovanili, dove vittoria e sconfitta sono ormai l’unico metro di giudizio del lavoro di un istruttore sportivo. Con tutte le pervicaci conseguenze educative che tutto questo comporta in termini di frustrazione, esclusione sociale, stress e ansia. Tutti fattori che non contribuiscono alla formazione di un atleta né di una persona.

Eppure basterebbe rileggere le parole di uno dei più vincenti coach della storia dello sport sul saper perdere, Julio Velasco:

Lo sport serve a imparare a perdere, oltre che a vincere. Vincere non è solo battere gli avversari, vincere significa superare i propri limiti: questa è la prima vittoria che uno deve cercare di ottenere. Accettare di perdere significa sapere perdere. Invece nei comportamenti prevalenti c’è sempre un colpevole, c’è sempre un motivo: l’arbitro, il tempo, il fuso orario. Saper perdere significa non dare la colpa a nessuno, prendersi la responsabilità della propria prestazione”.

In qualunque competizione sono più quelli che non vincono che quelli che vincono. Così è e così sarà sempre. E se le vittorie sono di rinforzo alla propria stima, le sconfitte sono uno strumento di resilienza. Autostima e resilienza sono i due poli tra i quali ciascuno di noi si trova a navigare in ogni momento della vita, sportiva o meno.

E allora nel precario equilibrio tra vittoria e sconfitta, autostima e resilienza, sono ancora delle parole di Julio Velasco a darci la bussola per orientarci nel ruolo educativo e formativo nello sport:

Ai giovani io dico: voi dovete cercare di vincere il più possibile, ma non credete a chi dice che il mondo si divide in vincenti e perdenti. Io credo che il mondo si divida soprattutto tra brave e cattive persone. Poi tra le cattive persone ci sono anche dei vincenti, purtroppo. E tra le brave persone ci sono, purtroppo, anche dei perdenti”.

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