In bici da solo: pro e contro del solo cycling

Andare in bici da solo ha i suoi pro e contro: dalla libertà e il tempo tutto per sé al dover prevedere ogni cosa, questa è la mia esperienza

Andare in bici da solo i pro e contro

Li vedo sempre i grupponi in bicicletta, tutti vestiti uguali come una squadra. Ma anche i gruppetti di 2 o 3 che vanno via agili e veloci. Ma io vado in bici da solo, praticamente sempre se si tratta di strada e gravel, quasi sempre se si tratta di MTB. E più di un amico mi chiede sempre come faccio, se non mi annoio, e se non sono preoccupato che mi possa accadere qualcosa. Tipicamente cadere ma anche qualcosa di più grave.
In realtà per me andare in bici da sola è più una necessità che una scelta, e soprattutto all’inizio mi chiedevo se ne valesse la pena, perdendomi tutto l’aspetto sociale del ciclismo, dalle chiacchiere in gruppo alla birretta in compagnia a fine giro. Poi ho imparato ad apprezzarne gli aspetti positivi, e a organizzarmi per minimizzare rischi e problemi.

Andare in bici da solo: i pro e contro

È la mia esperienza, non pretendo che siano regole valide per tutti o immutabili. Ma l’andare in bici da solo mi ha portato a soppesare questi pro e contro e organizzarmi di conseguenza.

In bici da solo: pro e contro del solo cycling

1. Andare in bici da solo è più flessibile

Per me il ciclismo è più piacere e scoperta che allenamento. Non che non ci sia la fatica, ovvio, ma non esco di casa con una tabella da seguire. Esco di casa in bicicletta con in testa un giro da fare, una meta da raggiungere. Qualcosa che ho scoperto sui vari gruppi Facebook che condividono percorsi e consigli, oppure che mi ha illuminato guardando una mappa o – perché no – passandoci in qualche altro modo. E andare in bici da solo così mi permette molta più flessibilità: parto quando voglio, vado alla velocità che voglio, mi fermo quando voglio e se è il caso torno anche indietro quando voglio. Perché non sempre riesco a fare tutto quello che vorrei e la prendo con filosofia: una meta non raggiunta è una buona occasione per un altro giro.

2. È tempo solo per me

Vale esattamente come per la corsa o l’andare in montagna a camminare: io la chiamo “l’ora di fatti miei” (in realtà la chiamo in un modo più volgare, ma ci siamo capiti; e in realtà in bicicletta è ben più di un’ora), gli inglesi lo chiamano “solo time” ma il concetto è chiaro. Dedicare del tempo a se stessi, e ai propri pensieri, è uno dei lussi maggiori che mi posso concedere. Perché il vero lusso è il tempo. E succede più o meno sempre la stessa cosa: dopo aver rotto il fiato e sciolto i muscoli smetto di pensare al pedalare e i pensieri cominciano a fluire sciolti, veloci, limpidi nella mia mente. È incredibile come dopo un bel giro in bici, strada, gravel o MTB che sia, le cose mi appiano decisamente più chiare. Spesso penso a soluzioni a cui non avevo pensato, a cose che non avevo considerato, a collegamenti tra fatti che non avevo colto, o semplicemente mi vengono idee creative che altrimenti, stando seduto sul divano, non mi sarebbero venute.

In bici da solo: pro e contro del solo cycling

3. Purtroppo la fatica è tutta tua

Sì, questo è un aspetto deleterio del fare ciclismo da soli: la fatica è tutta tua. Non c’è nessuno che ti sprona in salita o in qualche modo ti tira su facendo l’andatura, non c’è nessuno che ti taglia il vento o ti ripara da quello laterale, non c’è nessuno che ti tira la volata verso casa quando sei praticamente in riserva. Ammetto che uscendo in gruppo forse potrei fare di più e meglio di quanto faccio da solo, e questo è sicuramente un contro del solo cycling.

 

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4. Mi devo organizzare meglio

Vero che tra ciclisti c’è generalmente molta solidarietà, e se ti capita di forare c’è sempre qualcuno che passa e ti chiede se hai bisogno d’aiuto. Non tutti ma generalmente qualcuno c’è. Però insomma uscire in bicicletta da soli significa anche organizzarsi meglio, in primis per gli inconvenienti meccanici ma anche per bere e rifocillarsi, perché non c’è nessuno accanto con la barretta o la borraccia di scorta.

 

5. Mi devo anche preoccupare per chi mi aspetta a casa

Se a casa c’è qualcuno che ti aspetta, e io ho una famiglia che mi aspetta, ogni decina di muniti di ritardo è un pensiero. Allora io faccio così: dico prima di partire che giro ho intenzione di fare, e ragionevolmente a che ora tornerò. Il che non significa non cambiare mai itinerario – al contrario di quanto faccio andando in montagna da solo – ma comunque ho sempre il telefono con me, e se la deviazione è ben più di una decina di minuti, o comincia a fare buio, o mi sono fermato più di quanto pensavo perché ero in riserva sparata, mando un messaggino. Non costa nulla ed evita ansie inutili.

6. È meglio prevedere i guai

Lucina rossa dietro sempre carica e sempre accesa. Telefono sbloccato con l’App del numero unico del soccorso sempre sulla schermata home. E telefono carico. Peraltro, l’ultima telefonata è sempre quella a casa, casomai qualcuno dovesse cercare un numero da fare. Carta d’identità nel taschino della maglia, o nel marsupio quando vado gravel o in MTB. Io il casco lo metto sempre, anche se vado a prendere il gelato, e non ho voglia di scoprire se serve davvero o meno, nel dubbio lo metto e amen. E da qualche mese ho installato anche Tocsen sul casco, un sensore di caduta che in caso di incidente se non rispondo entro 1′ alla notifica sullo smartphone manda un avviso a casa.
Foto di Craig DennisMarkus SpiskeMaty Podrouzek 

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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