Camminare aiuta a pensare. E basterebbe pensare agli antichi filosofi greci peripatetici, seguaci di Aristotele, per crederlo. Ora, forse è leggenda che Aristotele tenesse le sue lezioni camminando, ma non è leggenda che il fatto di camminare stimoli l’attività cerebrale e il pensiero, come hanno dimostrato alcune recenti ricerche scientifiche. Ricerche ed esperimenti hanno infatti dimostrato che durante e dopo un’attività motoria, anche moderata come la camminata, migliorano le capacità di memoria verbale e spaziale, di attenzione e si formano nuove connessioni tra le cellule del cervello. Il motivo è abbastanza intuitivo e tutto sommato banale: muoversi, anche solo camminando per una passeggiata e ancor più con altre attività più intense, impone al cuore di pompare più sangue, e questo significa che arriva anche più ossigeno a tutti i tessuti del nostro corpo, compreso il cervello. Più sangue e più ossigeno modificano la chimica del nostro corpo, stimolando nel cervello la crescita delle molecole che producono nuovi neuroni e di quelle che creano le connessioni tra di essi. Più neuroni e più sinapsi significano in termini semplici anche minor decadimento del tessuto cerebrale e più volume dell’ippocampo, che è una regione del cervello fondamentale per la memoria.
Non solo camminare aiuta a pensare, ma il modo in cui muoviamo il nostro corpo può influenzare la natura dei nostri pensieri, e viceversa. È esperienza comune, ma anche scientificamente provata, che la musica è una forma di “doping” sportivo, che la musica ad alti ritmi (tecnicamente con elevati bpm) induce a correre più velocemente e consente di sopportare meglio la fatica. Lo stesso vale per la relazione tra cammino e pensiero. Quando camminiamo infatti il ritmo dei nostri pensieri segue e accompagna quello dei nostri passi, e il nostro discorso interiore influenza il movimento delle gambe. Il motivo è che camminare è un’attività del tutto naturale, alla quale non dobbiamo pensare, che non richiede attenzione cosciente, e questo consente alla mente di divagare, soprattutto per quanto riguarda pensiero creativo, associazioni di idee, idee innovative e intuizioni. Marily Oppezzo e Daniel L. Schwartz della Stanford University hanno compiuto un vero e proprio studio sul legame tra camminare e pensiero creativo sottoponendo i loro studenti universitari a una serie di test sul pensiero creativo, associativo, laterale e anche analitico. I test sono stati condotti in 3 condizioni: seduti al tavolo, camminando su un tapis roulant e camminando all’aperto, nella natura, e i risultati non lasciano adito a dubbi: i test sono stati superati dal 95% degli studenti quando erano usciti a camminare, da solo il 50% quando erano rimasti al chiuso o seduti. Ma c’è di più: se camminare all’aperto ha stimolato e favorito il pensiero creativo e associativo, così non è successo per il pensiero analitico, quando gli studenti dovevano fornire una e una sola risposta ben precisa. Come se vagare nello spazio e nel tempo, anche con la mente, fosse controproducente rispetto al pensiero analitico.
Quindi anche dove camminare aiuta a pensare, e lo dimostra anche uno studio condotto da Marc Berman dell’Università della Carolina del Sud: in un test condotto circa le capacità di memoria le persone che avevano camminato in un boschetto hanno avuto risultato migliori rispetto a quelle che hanno camminato in un ambiente urbano carico di stimoli. La tesi è che passare del tempo nella natura, anche camminando o facendo attività moderate, ringiovanisca e rinvigorisca le risorse mentali che altrimenti vengono esaurite dall’eccesso di stimoli di un ambiente urbano e cittadino. Questo perché l’attenzione è una risorsa limitata, e se dobbiamo prestarla per attraversare la strada, non urtare altri pedoni o guardare le vetrine non possiamo impiegarla per elaborare pensieri nuovi.
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