Una volta il capo o titolare di una palestra doveva essere “grosso”. In qualche circostanza non era titolato a coordinare il benché minimo progetto salute, ma in fondo era un bonaccione che aveva partecipato a qualche gara di body-building nei dintorni per tirare su qualche iscritto, sbarcare il lunario e fronteggiare i costi di gestione. E se qualcuno si fosse mai azzardato a parlare di sostanze dopanti, sarebbe stato lui il primo a tirargli le orecchie.
A quei tempi non c’erano reception-teams col fucile digitale puntato per il rinnovo iscrizionale biennale, né venditori che se non avevano telefonato a casa mordevano il polpaccio fin dentro lo spogliatoio, marcando malcapitati con accappatoio in mano. A scopo commerciale, s’intende. Atmosfere da collegio allegro, frizzi, lazzi e pacche sulla spalla soprattutto alla girl che non s’arrendeva mai e che ci dava dentro all’infinito con lo squat. Lo squat: strumento di misura della passione palestrara, nonché crocevia di discussione e livellamento sociale. Tutti uguali sotto il castello d’acciaio. Passiamo al 2019, perciò prima dei “fatti pandemici”. Ebbene, molto peggio di quel condottiero palestra nerboruto e bonaccione di prima, era il venditore in giacca e cravatta del poi, che appioppava servizi-fumo strappandoci il bancomat dal portafogli. Il tutto dopo aver già sottoscritto (noi) la membership, quella dopo la quale qualsiasi cliente palestraro non vorrebbe sorprese.
Tutta questa bella premessa goliardica ma realistica apre l’analisi all’acquisizione più sorprendente nel panorama della fitness industry 2020: quella di Gold’s Gym da parte di RSG, gruppo europeo che ha in squadra diversi manager italiani. Negli anni Novanta, nei nostri viaggi alla ricerca della palestra ideale perduta, ci siamo trovati a pedalare proprio su una bike della Gold’s Gym di Santa Monica. Per intenderci, quella dove si sono allenati Arnold Schwarzenegger e tutti quegli atleti che oggi faranno sorridere molti, ma che nessuno può obiettare siano i veri padri, forse i nonni, di quel fitness diffusosi in ogni parte del mondo dando lavoro a un inenarrabile numero di operatori, aziende produttrici di tecnologie e indotti a filiera così lunga da perderci l’occhio.
Tutto questo patrimonio che ancor oggi la Gold’s Gym incarna in termini di attività fisica “per tutti e alla portata di tutti” è stato recuperato da RSG e McFIT per assurgere a fonte di ri-approvvigionamento di sensazioni andate perse nel fitness imbellettato recente e pre-Covid. Quell’esperienza personale sulla bike della Gold’s Gym, cui seguirono giorni di piacevole allenamento senza forzature commerciali da parte di chicchessìa e di sorrisi veri di famosi body-builders e gym manager (si poteva fare la day-membership, la week-membership, la month-membership e quant’altro…) sfiorò l’apice quando, provando a fare un’analisi del target-utente di quella palestra, per la prima volta ci risultava impossibile.
Sulle bike, gli uni accanto agli altri, sedevano un body-builder professionista, una gentile signora che avrebbe potuto essere la zia di tutti con i ferretti in mano, un elegante signore paragonabile al prof, un ragazzo tanto allegro quanto sovrappeso e, per non andare troppo avanti con la lista, un tizio seduto che leggeva tranquillamente il suo giornale. Non pedalava neanche. Ecco, tutto questo mercato non più targettizzabile ma allargato è l’ultima via percorribile dai fitness network che non possono ridere presuntuosamente del passato. Quello da cui riemerge quel capo palestra grosso, bonaccione, vicino a tutti ed “equo” per tutti.
Credits photo: Ricardo Ricote Rodríguez CC BY 2.0
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