Corporate Wellness: consigli per gli acquisti

Corporate Wellness: consigli per gli acquisti

La prima novità è sulla liquefazione del bisogno. Bisogno di servizio fitness “ovunque”. La palestra, campo di gioco tradizionale, è andata in crisi nel momento in cui il fitnessista ha scelto un non-tempo e un non-luogo per allenare gambe e addominali. E poi dorsali, spalle e altro che via via s’intuiva potesse sollecitarsi sotto forme diverse rispetto all’attrezzo isotonico. A quel punto si è passato il confine: tenersi in forma si poteva farlo fuori dal contesto tradizionale e allora perché non approfondirne le opportunità? E se con la pandemia non ci si poteva più allenare in palestra, perché non farlo strategicamente dove si poteva? Bene, tutta questa spinta ad allenarsi “nell’ovunque”, stravolgendo il dove e il quando, non ha mai messo al primo posto il desiderio di farlo in azienda. Attività sportiva in ufficio? Neanche a parlarne. Né prima né dopo la pandemia, quando si ripartirà.

Ho seguito clienti che pur di non ritrovarsi davanti agli occhi la schiena del capo sulla bike, preferivano mettersi in viaggio per allenarsi il più possibile lontani dalla sede aziendale. E questa non è una buona notizia per chi si attrezza col digital fitness marketing e con strategie apprezzabilissime per conquistare un mercato curioso, sì, ma poco convinto: quello del Corporate Wellness. Non è una buona notizia nemmeno per quelle aziende che, pur volendo investire in chiave Welfare, non sanno che pesci prendere. Tirate per la giacca (quella dei loro manager) da tecnologie fitness che impongono parchi macchine come condizione necessaria per realizzare il progetto ideale e da creativi architetti che lavorano su aree wellness da hotellerie.

Sfugge il dettaglio che porta al successo ogni progetto salute, “corporate” o non: l’uomo. L’istruttore, quello presente sempre e non a spot, interfaccia corporeo e non digitalizzato qualificabile come “Health Interceptor Manager” (l’acronimo HIM non è casuale). Trainer, manager, filosofo, catturatore di bisogni di quel fitness individuale che in azienda farà stare meglio tutti, fosse anche un’ora di chiacchierata davanti a un Earl Grey. Nessun wellness-pack-aziendale sarà vendibile né acquistabile come servizio standardizzato di successo, in presenza o a distanza che sia. Per definizione il Corporate Wellness è proprio un’altra cosa rispetto al servizio fitness tradizionalmente fornito da una palestra, che segue altri percorsi.

Nell’organigramma aziendale è il Facility Manager che discute le opportunità d’inserire il servizio di Corporate Wellness. In qualche circostanza si scatenano rimpalli che alla fine portano il servizio laddove era arrivato: all’esterno del palazzo. Non se ne fa nulla. In qualche altro caso, anche in aziende di alto profilo, esiste una figura ad hoc già internalizzata, sorta di Corporate Wellness Manager che magari è parente dall’AD, bravo a prendere due piccioni con una fava: 1) abbassa i costi per fornitura servizio Welfare secondo policy aziendale; 2) piazza il nipote di turno in azienda al secondo anno di Scienze Motorie. Ma questo è un treno che, se parte, si ferma alla prima stazione, dove scenderanno tutti. Anzi, è un treno su cui non salirà nessuno.

Il primo passo per attivare politiche di Corporate Wellness nell’azienda italiana (negli States è tutt’altra cosa) potrebbe essere quello che ci riporta alla tradizione: l’AD che darà l’input al Facility Manager per attivare il servizio di Corporate Wellness dovrà pretendere di partecipare alla prima seduta di allenamento personalizzato. Niente App, niente servizi on-line, niente tecnologia. L’HIM dovrà mettere di buon umore psico-fisico l’AD nei dieci minuti di pausa tra una riunione e l’altra, senza l’ombra di un attrezzo. All’occorrenza, col manico dello scopettone sottratto al responsabile delle pulizie. Se il buon umore dell’AD tornerà in dieci minuti, il progetto di Corporate Wellness andrà veloce come una navicella spaziale, altrimenti deraglierà il treno del “non resto in ufficio ad allenarmi neanche gratis”. E la colpa non sarà attribuita alla scelta aziendale sbagliata, ma all’inutilità del fitness, rimpiazzato ancora una volta da benefit di pari valore e di utilità salutistica zero.

Credits photo: it.depositphotos.com

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Pubblicità

Potrebbe interessarti anche...

Nessun Tag per questo post