Si può mangiare da brividi sotto una tensostruttura in riva al mare e da disgusto in un cinquestellelusso nel centro di Milano. È questo il punto di partenza per illuminare il percorso “ibrido” che dovranno affrontare i centri fitness. Se le migliori catene di ristoranti, pandemia o no, tornano a curare con attenzione spazi ibridi di complemento alle loro strutture murarie, le palestre devono tenere d’occhio questo percorso. Quando si è sicuri della qualità del servizio, il marmo sotto i piedi non conta: basta un gazebo. I ristoranti di Parigi, New York, Londra e Roma, coi loro dehor, ne sono prova. Però, con la storia del gazebo o del tendone da sagra del tartufo riconvertito a spazio fitness non si risolve il problema, anzi: si scoraggia ancor più chi al fitness vuole tornarci in sicurezza. Magari anche al fitness assembrato, sì, ma in dehor. La sagra ha un valore aggregativo che si estrinseca nella tensostruttura come tra quattro mura non si potrebbe. Il fitness in assembramento, invece, ha un valore “sociale” che proprio tra quattro mura si esprime al meglio: luci mirate, suoni, sistemi di aerazione. Il gomito a gomito sul tapis-roulant è tra i desiderata di chi prima era fitnessista ed ora social-fitnessista. Ma le cose saranno diverse per un po’.
Per tornare al parallelo della ristorazione e della ricettività, parallelo preso a ragione e non a caso, viste le eccellenze dei protocolli di erogazione servizi di queste attività, non si vede perché nuovi concept spaziali e lay-out tecnologici disegnati da algoritmi non possano valorizzare tenso-strutture destinate al fitness. Anche a quello “executive”. L’investimento per un dehor di lusso destinabile a un ristorante è nell’ordine dei trentamila euro, cifra paragonabile all’acquisto di poche postazioni fitness. Con altri trentamila disporremmo di una palestra in pochi giorni da piazzare ovunque. Con meno di centomila euro, non teoricamente ma praticamente, una qualsiasi delle centomila società sportive potrebbe non solo riaprire ma ripartire a tutta velocità con una palestra economica a impatto zero agganciata alla propria. Risparmiando sulla struttura muraria che oggi richiederebbe costi e tempi di adeguamento inaffrontabili e convogliando tutto il proprio potenziale sui servizi. Se gli chef stellati sono passati a considerare anche l’asporto perché vergognarsi di erogare servizi fitness eccellenti anche in una tensostruttura?
Una catena di hotels potrebbe spostarla da un giardino all’altro o da un hotel all’altro secondo il momento o la stagione e risparmiare sull’eliminazione delle camere by-passando la lista prenotazioni per allenarsi. Una catena di centri commerciali potrebbe posizionarla nella green-area che andrà obbligatoriamente a ribilanciare i valori di impatto ambientale. Una piscina olimpionica potrebbe dotarsi di una warm-up area senza costruire una costosa palestra in più. Un gruppo di immobili di pregio potrebbe attivarla e disattivarla o tenerla perennemente attiva nel giardino condominiale senza togliere metri quadri al progetto abitativo. E la società di gestione della sagra del tartufo potrebbe infine alternarci cene gourmet a fitness di qualità con angoli verdi e street-food come e più di qualsiasi altra palestra tradizionale al chiuso. Per chiudere, tornando al tradizionale, una palestra o una catena di palestre avrebbe l’opzione in più del “Wellness Dehor” ben concepito e arricchito da giardino. Un’area di riassembramento eco-compatibile che non è escluso riporterà tutti quegli indecisi che in attesa degli sviluppi pretenderanno sicurezza in&outdoor.
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