La crisi ha messo tutti in ginocchio, un comparto quasi irreversibilmente: quello della ricettività. Città come Milano e Roma, che in condizioni normali hanno flussi ininterrotti di clientele business e turistiche, provano a elaborare qualche idea “difensiva”. Perché da qui ad un anno, almeno in questo settore, ci si potrà solo difendere. La strategia “staycation-business”, che vede proporre food, beverage e camera in “pack” per fronteggiare il rischio assembramenti e tenere acceso il fuocherello dei servizi ai clienti, è una via. È un’opportunità sviluppata dalla necessità. Ma ci sono altre opportunità, non sfruttate, che relazionerebbero al meglio il fitness in hotel. Un mistero che, in qualche incontro, abbiamo visto parzialmente svelato da manager di strutture recettive che non conoscendo a fondo il nostro settore (o avendo avuto esperienze poco positive con piazzisti di macchinari inutili), hanno ammesso di tenerlo per ora ai margini. Non ci vedono, per usare il loro linguaggio, revenue.
Facciamo un esempio: Milano. Sul Quadrilatero d’Oro, con Via Montenapoleone come baricentro, vi sono hotels che offrono accoglienza di livello assoluto cui associano a fatica food, beverage e in qualche caso – molto ma molto marginale – fitness. Il servizio fit-wellness erogato, che si presupporrebbe di pari livello rispetto ai primi due, è gestito da personal trainer magari in gamba, ma che non operano in squadra. Un po’ come i personal trainer che lavorano nelle palestre in outsourcing che, per esperienza personale, sappiamo andare dritti verso conflitti con l’organizzazione del centro fitness. Perché mirano ai loro interessi, mai a quelli dell’azienda per cui collaborano. E infatti, dopo un po’, trasferiscono i migliori clienti nel loro studio di personal accanto. Per gli hotels un avviso: succede già la stessa cosa.
Ma ipotizziamo nella strategia stay-fit-cation quella della tre “A”:
A1 = Accoglienza;
A2 = Alimentazione
A3 = Allenamento
L’hotel oggi vende solo accoglienza (A1), in percentuale minore il food (A2) e in percentuale super-irrisoria il fitness (A3), che per qualche tempo sarà addirittura congelato dai protocolli. Un’idea però bisogna elaborarla adesso a bocce ferme, perché più del 33% del servizio complessivo (e hotel revenue) va perduto e moltiplicato per anni di gestione passata, presente e futura. Teniamo conto, poi, che gli hotel sono obbligati ad avere al proprio interno wellness rooms spettacolari, magari non enormi ma con vista sulla città, dove gli unici protagonisti sono tapis roulant e le ellittiche. Se si trattasse di un centro fitness tradizionale, dove ogni metro quadro deve produrre redditività, il fitness manager verrebbe messo in discussione, ma non trattandosi di centro fitness, si comprendono i timori del management hotellerie.
Nel frattanto, noi fitness operator proponiamo un’opportunità: la stay-fit-cation.
Non c’è bisogno di spiegare tanto: se al termine staycation di cui prima aggiungiamo la parola “fit” vuol dire che è ora di completare la filiera delle tre “A”. Hospitality management e wellness management si mettano al lavoro su un progetto che reinserisca in circuito business le clientele autoctone e non necessariamente internazionali, che cercano un fitness d’eccellenza con operatori qualificati, spazi non assembrati, uso individuale e contingentato delle tecnologie, food post-allenamento di qualità. E con, in caso di week-end package, una lunga e approfondita chiacchierata in presenza su quegli obiettivi di fitness e salute che non possiamo continuare a delegare a piattaforme digitali.
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