La prima novità sulle modalità di successo o fallimento dei progetti “Corporate” è la liquefazione del bisogno. Bisogno di servizio fitness “ovunque”. La palestra, unico campo di gioco tradizionale, è andata un po’ in stallo nel momento in cui centinaia di migliaia di utenze fitness hanno scelto un non-tempo e un non-luogo per allenare gambe e addominali. E poi dorsali, spalle e altro che via via s’intuiva potesse sollecitarsi sotto forme diverse rispetto all’attrezzo isotonico in palestra. Quasi senza accorgercene si è passato il confine: tenersi in forma si poteva farlo fuori dal solito contesto.
Fitness Industry A-Z: Corporate
Però la spinta inerziale ad allenarsi “nell’ovunque” non ha ancora messo al primo posto il desiderio di farlo in azienda. Da anni seguo clienti che pur di non ritrovarsi davanti il capo in palestra preferiscono mettersi in viaggio per allenarsi lontani dalla sede aziendale. Non una buona notizia per chi si attrezza col digital fitness marketing e con strategie apprezzabili per conquistare un mercato curioso ma poco convinto: quello del Corporate Wellness. Non una buona notizia neanche per quelle aziende che sebbene vogliano investire in chiave Welfare, non sanno come muoversi tra corsi di Rafting su improbabili fiumiciattoli dell’Oltrepo’ e fine settimana nei Conventi Benedettini. Aziende tirate per la giacca (quella dei loro manager) da tecnologie fitness che impongono parchi macchine come condizione necessaria per realizzare il progetto ideale, quello vincente. E da architetti “on fire” che lavorano su aree wellness da hotellerie.
Il servizio fitness al centro
Nel riportare il fumo al centro (le architetture fitness) e in periferia l’arrosto (il servizio fitness) alla base del progetto Welfare-Wellness si sta trascurando ancora una volta l’uomo, l’istruttore, presente sempre e non a spot, interfaccia corporeo e non digitalizzato, trainer-manager, filosofo, catturatore di bisogni di quel fitness individuale che in azienda farà stare meglio tutti, fosse anche un’ora di chiacchierata davanti a un caffè.
Perché questo, spesso, capita: che in un pacchetto di venti lezioni si debba optare per un caffè allenante nella Wellness Room. Seduta annullata, anzi: riconvertita.
Wellness Pack Aziendale
Perciò nessun wellness-pack-aziendale sarà vendibile come servizio standardizzato di successo, in presenza, a distanza o misto, se all’ultimo istante il cliente vorrà allungarsi un’ora e respirare anziché eseguire la tabella 2 con livello d’intensità 3 stabilito dal fitness-tracker.
Corporate Wellness
Nell’organigramma aziendale il Facility Manager discute le opportunità d’inserire il servizio di Corporate Wellness. In qualche circostanza si scatenano rimpalli che alla fine riportano la proposta di servizio laddove era arrivata: all’esterno del palazzo. Non se ne fa nulla.
In qualche altro caso c’è una figura ad hoc internalizzata che rientra nell’alveo dei contatti dall’AD, bravo a prendere non due ma tre piccioni con una fava: 1) abbassa i costi per fornitura servizio Welfare secondo policy aziendale; 2) piazza il proprio contatto in azienda anche se non è un fenomeno; 3) assegna un posto di lavoro per tenersi un futuro jolly nel mazzo.
Allenarsi in ufficio
Soluzione: l’AD dovrebbe pretendere di partecipare alla prima seduta di allenamento personalizzato. Che può essere una seduta vera o un’ora di stretching con respirazione profonda. Oppure un caffè. Il “Prescelto” dovrà mettere di buon umore psico-fisico l’AD nei dieci minuti di pausa tra una riunione e l’altra, senza l’ombra di un attrezzo e se il buon umore dell’AD tornerà in quei dieci minuti, il progetto di Corporate Wellness andrà spedito come l’Alta Velocità. Altrimenti deraglierà come una vecchia tradotta all’insegna del “non resto in ufficio ad allenarmi neanche gratis”.
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Photo by Carl Barcelo / Rachel Moore / Danielle Cerullo
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