Grande Distribuzione Organizzata e mondo fitness: c’è ancora un’inspiegabile e sottile distanziamento. Inspiegabile perchè è un tesoro nascosto e sottile perchè le opportunità sono lì, a due passi. Opportunità in termini di relazioni dirette tra strutture fitness e strutture GDO, con mancati (e mancanti) agreement tra catene di palestre e supermercati di prossimità. E poi, opportunità tra utenti fitness e prodotti fitness, con connettibilità tra digital fitness membership ed healthy food acquistabili su piattaforme anch’esse digitali in un ecosistema salute & sport. Perchè fitness e sport sono inscindibili dal food e dal beverage, che ne è carburante. Il mercato potenziale è enorme ma è come essere vicini alla soluzione restando al buio. Rendere popolare la fruibilità del prodotto healthy ovunque è un’opzione che è davanti agli occhi, eppure si va a tentoni con operazioni che come vedremo dopo si autocondannano. Per chi vorrà metterlo in campo sul serio, con un’operazione seria, c’è un sotto-progetto sociale e social, non solo commerciale. Una costellazione di punti che uniscono le aziende ai servizi, l’agricoltura all’economia, e che guida il carrello del consumatore al supermercato sulla strada che lo farebbe vivere meglio già adesso.
Fitness Industry A-Z: GDO
Se da un lato le singole palestre e i fitness network spingono alla vendita dell’healty food&beverage con distributori automatici che per quanto avanzati tecnologicamente lasciano il passo a una fruizione in modalità self-service, dall’altro non c’è un controllo, non c’è focus per rilanciare l’azione. Un paio di volte al mese l’addetto alle vending machine sostituisce una liscia con una gassata e il gioco è chiuso. Tutto questo mentre sul fronte supermercati flussi ininterrotti di utenti wellness salutistico bio-addicted sfiorano, a pochi centimetri, gli scaffali, a caccia di prodotti wellness che non appaiono mai categorizzati: sparsi su aree vicine a prodotti pseudo-dietetici, posizionati nel settore parafarmacia, depositati in un marasma di decaffeinati e tisane, accantonati in aree di ridotta visibilità dei punti vendita. E messi in concorrenza l’uno con l’altro. Un mix di marchi e colori che non vanno d’accordo, che non impattano. Questo relativamente all’Healthy Food, cioè al cibo che viene proposto fino ad arrivare agli integratori, per intenderci.
Sul Non Food sportivo invece, ovvero piccoli accessori, outfit e quant’altro, i corner restano anch’essi mimetizzati in compagnia del pulviscolo, con proposte per l’intimo sportivo che a tutto invitano fuorchè all’acquisto. Si valorizza il kid-gadget che si accumulerà nella cesta giocattoli ma che fa tirare “al momento” la manica del piumino della mamma costretta alla resa-nella-spesa, ma non una buona calza per la passeggiata sportiva del papà che avrebbe fatto meglio il suo lavoro. O una anti-sweat-shirt. Niente quindi per il supermercato, che potrebbe innescare un circolo virtuoso di clientele palestraro-sportive e niente per lo sport, che alla domenica dopo incrementerebbe di una unità il suo parco appassionati. Eppure un kids-bio-snack da mettere nello zainetto al mattino non sarebbe male, come una borraccia che si riempie e si svuota ma che non diventa ricettacolo di batteri. Idee.
Le strategie della GDO sul wellness
Da osservatori esterni delle timide ma allo stesso tempo funamboliche strategie GDO sul wellness, assistiamo a operazioni come acque-Graal reperibili al costo di un occhio della testa (proporre alle vecchie dodicimila lire qualche litro d’acqua non è strategico per iniziare a catturare il fitnessista al banco del supermercato) e al lancio d’integratori che allungano la vita, quando addirittura non ci fanno tornare indietro nel tempo. Anche proteinizzare qualsiasi cosa venga a mente per buttarla sullo scaffale non porta risultato se non c’è un senso, se non c’è un punto d’incontro, una Terra di Mezzo, un “Life Point” tutto a Marchio Del Distributore (MDD). Si parla del Quality Private Label sostenibile ma quando poi si procede ci si approccia in stile fast-fashion con filiere lunghissime per realizzare calze che fanno venire le vesciche al piede o t-shirt che dopo due volte olezzano da paura. Paradosso accettabile in tema lifestyle ma non in tema salute.
Il mercato del benessere nel carrello della spesa
Proprio come quella canzone “Ci vorrebbe un amico”, ce ne vorrebbe uno vero, fosse pure un Avatar mosso dall’AI. Ma ci vorrebbe anche sul campo con fattezze umane a chiacchierare in slow-service coi target a cui ci si dedica meno e che ogni tanto rallentano le operazioni di cassa perchè non parlano più con nessuno. Ci vorrebbe, quindi, questo “amico” ma soprattutto un angolo completamente dedicato al Food e al Non Food a Marchio che non gonfi il petto sulla sostenibilità per sostenere ma sull’utilità di ciò che propone, spiegandolo “On air”. Nel mercato del benessere, nel carrello spesa dovrebbero cascarci dentro produzioni “meno dieci” (chilometri dal supermercato e dalla palestra) con riduzione progressiva del prezzo del prodotto Food e Non Food quanto più saranno stati realizzati vicino. Idee.
Gli sportivi di ogni livello vanno tradizionalmente al sodo: praticità, buon prezzo, né troppo alto né troppo basso, resistenza, affidabilità, benissimo anche a marchio del player GDO, perchè sempre meglio made in Italy che a produzione massiva, remotizzata ai confini del mondo. Sono queste le qualità di un accessorio sportivo acquistabile anche all’ultimo momento perchè…: “Prima della palestra e del rifornimento d’acqua (non cara) e della barretta (idem) mi sono ricordato che non ho messo le calze nella borsa”. In migliaia di situazioni come questa ogni giorno ci perdono tutti: il wellness-consumatore appeso al filo di una necessità che si spezza all’ultimo istante e il supermercato che offre la ciabatta produzione Taiwan che appesa ci resta.
Andare su una modalità di “Business Strategy Storming” con un mix di esperti GDO ed esperti Wellness su Food e Non Food, innovando sensatamente l’offerta a brand su tutta la filiera di prodotto wellness-salutistica, è un’opportunità per gli acquisti di milioni di praticanti sportivi. Affacciarsi “quatti quatti” con operazioni come l’acqua-Graal, non elaborando processi, è il passo da non fare. Quello da fare sarà portare sorta di supermercato-point in palestra e sorta di palestra-point nel supermercato. Non per allenarsi nel supermercato o per far spesa in palestra ma per cogliere meccanismi utili alla causa reciproca e unire i due poli palestraro-salutistici: quello dei servizi erogati dai centri fitness a quello dei prodotti, (buoni e locali), venduti dalla Grande Distribuzione Organizzata. L’uno entra in gioco dove storicamente non potrà mai giocare l’altro, eliminando un distanziamento che non fa bene a nessuno e che congela opportunità sul prodotto sostenibilimente sportivo a filiera italiana. Lo sport si fa ma si mangia anche.
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Photo by ŞULE MAKAROĞLU / Danielle Cerullo / Anupam Mahapatra / Viktor Bystrov
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