Semplicisticamente. Il fitness-market è frazionabile in tre grandi macro-aree di prezzo: low-cost, medium e high. Impossibile e inattuabile passare da un centro fitness “Cinque stelle luxury” a un low cost, mentre le due operazioni low-to-medium e medium-to-low sono praticabili. Non senza ostacoli sul percorso però.
Pricing strategy
Non si tratta di una bella passeggiata, data la molteplicità degli interventi che afferiscono a struttura (1), tecnologie (2) e risorse umane (3). Tre fronti che nel passaggio medium-to-low possono in parte rimanere anche alterati: svendere un servizio che ha connotazioni di buona qualità, se si ha di default un parco fitness-tecnologico di livello, non presenta problemi. Anzi.
Questione più delicata è la pricing-strategy. Avendo escluso l’inattuabilità del passaggio da executive a low e assodata la facilità nello svendere a prezzo “promozionato”, secondo strategia praticabile da qualsiasi studente delle elementari cui hanno regalato uno smartphone che svenderà a metà prezzo, come rialzarlo, il prezzo, se il cliente-target è promo-addicted?
Rebranding
In un approccio di total rebranding, dove bisogna lavorare a tutto campo sui servizi, a differenza di un rebranding parziale che prevede la sola modifica di loghi e colori, riposizionarsi prevederà in primo luogo il “Patto Narrativo col Cliente”. Ogni fitness club ha un nocciolo duro di clienti fedeli che vanno individuati, osservandoli sul campo. Che siano poi aggregati o meno è irrilevante.
Bene, a costo di allenarsi con questi clienti, generatori straordinari di feed-back cui attingere prima di mettersi a testa bassa sulle nuove strategie di prezzo e servizio, che si tratti di rebranding rivoluzionario, parziale o reattivo, senza “anamnesi palestra” non si va da nessuna parte. C’è la reception, il servizio accessorio, il corso e l’ammennicolo ma il campo di gioco è “The Gym”.
Come appendice di problema avremo la fluidità del mercato d’area che vedrà riposizionarsi i competitor non appena avremo messo mano al nostro centro. E’ bene alzare la guardia, attendendosi l’azione difensiva dei players territoriali: il loro primo passo sarà tirare giù i prezzi e il nostro rebranding-approach non sarà corrergli dietro. Rebrandizzare è andare avanti.
Andare avanti
“Andare avanti” verso scenari fitnessisti che però non cambiano sempre nella direzione giusta (vedi la bolla del digital fitness circoscrittasi all’evento pandemico e l’esplosione dei turnover iscritti a seguito della sparizione del servizio di assistenza nelle sale pesi). Rebranding intelligente è essere “glocalmente rilevanti” non nella rivoluzione a tutti i costi ma nell’accortezza, nel calcolo, nell’interpretazione quasi in punta di piedi. Nè troppo lenti, né troppo veloci. Perspicaci analizzatori.
Non si contano sulle dita di una sola mano le aziende che hanno fatto “Revolution rebranding” e poi sono corse all’indietro. Il rebranding è un’operazione negoziale, politica, personale e personalizzata. E’ una narrazione in forma di “Patto Reciproco” che come nelle serie televisive di successo viene scritta a quattro mani: dal club-azienda e dal club-utente, affinchè il nuovo taglio di capelli sia in linea coi tratti del viso. Club-rebranding come personal-rebranding. Semplicisticamente.
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