Acquisizione sorprendente nel panorama della fitness industry internazionale è quella dell’iconico brand Gold’s Gym da parte di RSG, solido gruppo europeo che detiene anche la catena McFIT e il più elitario John Reed Fitness. Il gruppo si è posizionato su mercati differenziati e ha in squadra non in posizioni marginali ma ai vertici, un management italiano con cui ci si confronta spesso. Management innovativo, attento alle dinamiche di settore, pronto a scambiare idee, pareri, accogliere costruttivamente osservazioni esterne.
Fitness Industry A-Z: Trend
L’apparente salto indietro nella storia del fitness da parte di RSG, è in realtà una strategia di potente futurizzazione del brand appena acquisito. Lo scegliere questo marchio-icona riattualizzandolo, rappresenta una genialità strategica: rilanciare l’anima Gold’s immergendola nell’adamantio del fitness 4.0. Nei viaggi alla ricerca della palestra ideale perduta, ci siamo trovati, anni fa, a pedalare su una bike della Gold’s Gym di Santa Monica, “The Mecca”. Quella in cui si sono allenati Arnold Schwarzenegger e altre leggende del body-building che faranno sorridere gli instagram-istruttori-guru (??) ma che nessuno potrà mai obiettare siano stati i padri della fitness industry. Fitness industry che poi ha dato lavoro a un inenarrabile numero di operatori, aziende produttrici di tecnologie e indotti a filiera così lunga da perderci l’occhio, tutti bene attenti, però, a nascondere in chiave negazionistica il loro body-building-imprinting iniziale.
Back to “fare fitness”
Quel “patrimonio ibernato” che Gold’s, oggi, attraverso RSG Group, ha visto scongelato con dovizia strategica, è un’operazione di recupero di sensazioni che si erano perse nel fitness troppo imbellettato e infighettito. Tornando a quell’esperienza personale sulla bike della Gold’s Gym di Santa Monica, si susseguirono giorni di piacevole allenamento senza forzature commerciali, di body-builders sempre pronti per una foto e gym manager entusiasti di quel “fare fitness”.
Provando a fare l’analisi di quel fitness-market, ci risultava impossibile catalogare. E così è ora: il target-utente resta indefinito, perchè va dalla generazione analogica a quella digitale, phygital fitness incluso, con buona pace degli etichettatori e dei collocatori di mercato.
Mercato orizzontale più che verticale
In quel caleidoscopio californiano d’utenze fitnessiste, gli uni mescolati agli altri, sulle bike, sedevano un body-builder professionista, un’elegante signora che avrebbe potuto essere la zia di chicchessia, un brizzolato signore in stile, un ragazzo allegramente sovrappeso e un altro che leggeva tranquillamente il giornale. Non pedalava e non aveva la minima intenzione di farlo.
Tutto questo mercato, orizzontale più che verticale e dunque allargato e indefinito, è la via percorribile dai fitness network che si sbellicano dalla risate sul passato negandolo, quando invece la storia del fitness-business riparte proprio da lì. Ed è tornata per dare calci nel sedere a quello stesso fitnessismo che aveva prodotto e che come ringraziamento aveva tentato inutilmente di cancellarlo.
Il body-building sta dando di nuovo una mano
La bistrattata fenomenologia del culturista-cultore, secondo gli “analisti del fitness market”, è da accantonare nella società tradizionale e nello stesso mondo sportivo. Non può più essere così: è il body-building che sta dando di nuovo una mano (ed è la seconda volta) al mercato del fitness, dopo averglielo aperto di sana pianta decenni fa.
Se la fitness industry mostra tensione sui prezzi e incertezza commerciale come una squadra senza capitano ferma al guado, quel body-building che accomuna la preparazione atletica di Sinner a quella di Jacobs, l’allenamento di Leclerc agli sforzi in palestra di Bebe Vio, riconvincerà il fitnessista “allargato” a prendere il borsone in mano da zero a cent’anni. E senza etichette.
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