Per definizione l’ubiquità del fitness è come quella canzone del pensiero e del mare: non la puoi ingabbiare. Per palestre e network si profila l’estensione di un mercato liquefatto: se estensione è una buona notizia, altrettanto non è il termine liquefatto, perchè ciò che è liquido si perde tra rivoli infinitesimali. Sul servizio fisico siamo alle trasversalità orizzontali (diversificare servizi e prodotti fitness, food incluso) e alle verticalizzazioni (innalzarsi su utenze di prestigio con servizi premium in location selezionate e top trainer de visu).
Fitness Industry A-Z: Ubiquità
Le due grandi partite si giocano su territorio reale e piattaforma digitale e su quest’ultima vanno concentrate risorse che possono riverberarsi bene o male sulla stessa parte fisica del servizio. Su AI, AR, VR e chi più ne ha più ne metta, le vie della fitness-gamification e della concretezza digitale (ossimoro) non sono ancora chiare, nonostante gli “esperti sull’artificiale” aumentino ogni giorno. La chiave è essere intercettori sì del servizio richiesto dal cliente, ma proprio da “quel” cliente. Niente post insulso-standardizzati e campagne palestrare con glutei mini-bikinizzati, come i 6×3 che garantiscono l’alta qualità di un servizio a prezzo stracciato: il mistero della qualità alta, a un prezzo ridicolo, resta sempre un mistero.
Servizio misto
Il servizio misto (phygital) si può erogare a interruttore: si attiva e disattiva come tagliando salute annuale, perciò è economicamente accessibile sia come onere per il centro fitness che come costo per il cliente: non più, quindi, il pacchetto lezioni PT stra-costoso per l’utente tradizionale, ma un pacchetto spacchettato. Molti centri low-cost vivono nella contraddizione che si auto-producono: media fatturato cliente bassissima e fatturato per singolo personal trainer alto. Un esercito di operatori ricchi e indipendenti dentro palestre povere che danno per inevitabile la sconfitta prima ancora di giocarsi la partita: quella del turnover, il più alto del mondo. Ibridare il servizio fitness estende la gittata di qualsiasi club all’home-fitness, all’outdoor-fitness e all’extra-fitness con memberships comunque “piene”, cioè dello stesso importo di quella tradizionale. Sorta di membership A (fisica ma a spot) + membership B (digitale sempre) che usa la palestra come hub e non come luogo assoluto del fitness. C’è la navicella madre e ci sono i droni.
Detto questo, il cliente di un altro Club, con la membership A+B, potrà essere attratto dall’acquistare il nostro servizio misto sulla base dell’attrattività della nostra piattaforma digitale. Battaglia interessante da affrontare quindi, sia nella palestra che identifichiamo come spazio fisico, che nel campo digital (nostro) e in quello altrui. Se saremo bravi anche solo in questa parte, il cliente “errante” potrà essere orientato a noi piuttosto che a protrarre per inerzia la membership presso il Club “Y”. Club che magari non ha proposte digitali attrattive come le nostre e che non ha istruttori compresi nel prezzo. Il personal trainer glielo forniremo noi digitalmente, completando l’opera con un caffè al mese, in presenza, in palestra. Nella nostra palestra. E con lezione a spot, “spacchettata”
ma non in promo.
Servizio remotizzato
Il servizio remotizzato puro è la realtà contraria a quella on-line conosciuta oggi: non è il cliente che segue il corso fitness digitale uguale per tutti gli iscritti, ma è il trainer della palestra a disposizione della richiesta specifica. Dalla metropoli alla provincia, anche i fitness network possono riconsiderare quelle aree decentrate ma dense di utenza potenziale “liquida”, visto il riposizionamento di fitnessisti che non si allenano più nel centro-città e in pausa pranzo. Perchè su quel bacino non ci vivranno più o ci vivranno meno, alternando ufficio a remotizzazione.
Lo smart-worker smart (non quello generato dalla pandemia ma da lucida scelta personale che lo porta a una giusta alternanza), sarà equiparato a chi opera in modalità sempre presente e le convenzioni per attività sportive saranno indipendenti dalla geolocalizzazione del lavoratore, interessato a convenzionarsi al club “digitalmente più vicino nel proporsi”. Più vicino ai suoi desideri perchè, appunto, più completo nei contenuti di servizio tradizionale, misto e remotizzato.
Metaverso
Un incredibile ed entusiasmante panorama ci si è aperto davanti, tra i sorrisi di superiorità di chi avverte con fastidio il suo procedere inarrestabile. Il giorno che non avremo voglia di metterci in mezzo al traffico e aspettare altri venti minuti in sala pesi per una leg-press su cui c’è la fila di utenti scaricati lì dall’ennesima promo a nove-euro-e-novanta, saremo ad armeggiare con “Omni-oculus” che annovereranno tutte le nostre sequenze preferite (Realtà Aumentata). E senza discontinuità tra lo spazio fisico di una palestra non più inventata, ma della “nostra palestra” e della sua estensione digitale (Realtà Virtuale). Su questo fronte per chi non s’attrezza saranno dolori.
Ubiquità degli spazi fitness
Costi energetici e decremento ricavi da ridotta clientela “tradizionale e identificabile” frammentatasi sulle diverse forme di servizio viste prima, spingono a una rivisitazione format. Dopo un 2020-2021 di trincea e un 2022-2023 di speranza, ci si è dati una dead-line da dentro o fuori raschiando il fondo del barile. L’erosione della revenue con la prima ondata ha eliminato i centri fitness fragilissimi, la seconda ha tolto di mezzo i fragili e ora, ogni tanto, salta qualche pure qualche medio-alto. Questo perchè la fetta più ampia degli utenti fitness acquista e rinnova l’abbonamento alla palestra solo se in promo. E di promo in promo il low-cost imperversa se non si mettono dentro idee e progetti di servizio allargato e multicanalizzato per occupare “l’altro” mercato.
Come se non bastasse, l’outdoor ha ripreso a volare (vedi Padel) e il problema (o opportunità per studiare nuove formule?) si è già esteso, contaminando progetti nei quali palestre, spazi fitness condivisi e aree wellness in contesto di riqualificazioni immobiliari, pur essendo previste nei capitolati progettuali, alla luce dei dati che emergono, spaventano i committenti e le società che gestiscono le riqualificazioni. I players dell’immobiliare di pregio devono, volenti o nolenti, prendere in considerazione le nuove richieste del cliente, che vedono l’inserimento di Work-Station e Workout-Station all’interno della macro-struttura se non del singolo appartamento. Si sta per ripetere la situazione degli hotels, costretti negli anni recenti a inserire palestre nelle loro sedi sacrificando camere ma trascurando l’analisi e l’organizzazione di servizi ad hoc per clientele anche extra-hotel.
Nessuno se la sente di mettere le mani con decisione su questo nuovo fronte dell’ubiquità spaziale del fitness, né i manager che hanno le mani legate dai budget né i CEO che quando sentono parlare di Wellness Room su nuovi progetti ammiccano preoccupati. Questi settori, ovvero ricettività e immobiliare, si preparano con un filo di costrizione, dopo aver visto che anche nelle aziende, e ci riferiamo a head-quarter d’altissimo profilo, l’installazione di palestre per i dipendenti è fallita. Nell’onestà che dovrebbe contraddistinguerlo, in qualche caso il consulente dovrebbe avere il coraggio di non consigliarla l’installazione di una palestra interna, perchè finirà con l’essere inutilizzata.
Si potrà, volendo, optare per strutture intelligenti da allestirsi “a tempo” che valorizzino aree esterne abbandonate, in un’ottica di riqualificazione sostenibile. O arricchendo giardini che in condizioni meteo favorevoli saranno ideali per lo svolgimento delle attività wellness-sportive. Meglio perciò virare assieme allo stesso committente e fin dalla progettazione, verso space-concepts messi in campo a quattro mani e mai imposti da uno solo dei due interlocutori. Chi realizza centri fitness non è detto che abbia la visione adattata a quella specifica struttura immobiliare e chi costruisce immobili non ha idea del contesto wellness-sportivo che può scaturire da un’analisi predittiva del cliente, acquirente o locatario di lunga durata che sia (vedi lo student housing). Se il potenziale acquirente o affittuario di quell’immobile è pre-identificato, altrettanto prevedibili saranno le sue scelte sull’attività wellness-sportiva che detterà legge sulla configurazione dello spazio d’attività per quel luogo.
Per chiudere la questione dell’ubiquità degli spazi fitness appare sensato:
Riconfigurare parzialmente i centri fitness tradizionali: non più training-area immutabile ma centro di produzione servizi e distribuzione prodotti di filiera (healthy-food) poiché la resa di un impianto fitness-sportivo non è misurabile moltiplicando solo gli utenti per metro quadro ma ipotizzando tutto ciò che si potrà fare o vendere in quel luogo;
Estendere la gittata strategica dello spazio fitness: legata al calcolo degli utenti potenziali raggiungibili non solo col servizio fitness fisico ma anche misto, on-demand e con prodotti-merchandising inclusi. Ci sarà un’utenza che non frequenterà mai una palestra, ma resterà legata comunque al tema wellness-sportivo, magari acquistando on-line la t-shirt di quella palestra senza andarci;
L’opzione “Your Smart Station”: non più l’obbligo di condividere uno spazio fitness in hotel, condominio o azienda, non sempre gradito dal cliente, ma allestimento di Wellness Corner intelligenti alla stregua delle Suite degli hotel che da tempo hanno già il loro Spa-Corner. Completare l’opera in palestra e nei luoghi-non-palestre che avranno la loro (palestra).
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