Nel mondo del fitness viviamo un’emergenza strategica e commerciale che vedrà come prioritaria, su tutta la linea, da parte del gestore e dell’utente, l’applicazione del principio di precauzione. Il panico del 2020 ha già prodotto piani inutili per questo 2021. Infatti, in guerra, apoteosi dell’emergenza, i piani disegnati meticolosamente da generali con mostrine e medaglie diventano spazzatura, perché il nemico ha uno scopo soltanto: far di tutto per disarticolare quel piano. La prima domanda di questo gennaio 2021 perciò è: che tipo di palestra vorremo quando torneremo a iscriverci? Tre certezze imprescindibili:
1) dovrà convincermi del suo nuovo approccio alla SICUREZZA;
2) dovrà convincermi del suo nuovo approccio alla SPAZIALITÀ;
3) dovrà convincermi del suo nuovo approccio alla SOSTENIBILITÀ.
La sicurezza per chi ha lavorato male è un vecchio problema e il COVID non c’entra. Metri-quadri-cliente andati a farsi benedire negli spazi di attività e nelle aree accessorie, tappeti ammassati con frequenze cardiache che saltano a piè pari da un utente all’altro, aree spogliatoio con armadietti miniaturizzati, docce a vista come in una camerata militare. Un mix di non-sicurezza. Il capiente armadietto dei sogni ormai è abbandonato nei vecchi palasport. Per migliaia di utenti, entrare in giacca e cravatta per recuperare camicia, giacca e cravatta nelle stesse condizioni iniziali, era un miraggio ben prima del COVID. Nel 1992 vivemmo l’emozione di un mini spazio dedicato alla vestizione-svestizione, con essenze e profumi caricati in ogni singolo box, pronti per essere spruzzati ad personam. Lo spazio era auto-pulente. Si trattava di una palestra di Los Angeles, vero, ma design e realizzazioni erano made in Italy. Intelligenze e idee perdutesi nel tempo che fatte convergere negli anni di vacche grasse nel centro fitness ci avrebbero già portato a quegli standard di sicurezza cui siamo obbligati ora. Mi allenerei in una palestra di questo tipo? Sì. Convincerei le istituzioni? Sì.
La spazialità è diventata un dibattito in cui hanno preso il sopravvento architetti che, sopravanzando operatori e manager di centri fitness, hanno ridisegnato il campo di gioco del fitness anni Novanta e Duemila. Ma negli ultimi venti anni il fitness si è modificato e i cocci sono rimasti nelle mani dei fitness operators. Chi è che vive i flussi di utenza nel centro fitness dalla mattina alla sera? Chi è che potrebbe fornire indicazioni sulla spazialità interna? Venti anni fa nella progettazione dell’area commerciale si chiamavano in causa le persone della reception e la cosa funzionava. Oggi ci si concentra sull’arredo dei gabbiotti nei quali s’imprigiona il cliente per la trattativa. Sempre una ventina di anni addietro, proponevamo spazi modificabili secondo le variazioni della domanda di fitness e secondo necessità improvvise (l’immagine Wellness Cube Concept di Mario Taddei risale al 2004, ndr). Quelle nostre proposte suscitavano l’ilarità di imprenditori sostenuti dagli architetti di cui prima. Ora però ci si chiede come modificare spazialità immodificabili in funzione di una sicurezza assoluta. Ovvio che se non si può fare qualcosa all’esterno di una palestra si dovrà fare all’interno. Mi allenerei in una palestra di questo tipo? Sì. Convincerei le istituzioni? Sì.
La sostenibilità si riferisce alle scelte tecnologiche, all’approccio energetico, alla gestione dei sottoprodotti delle attività di una palestra, alla scelta dei materiali di arredo e alla miriade di opzioni più o meno inquinanti adottate nella gestione del club sportivo. Però in alcuni centri fitness dominano l’acciaio, flussi enormi di corrente elettrica, fiumi di gas, quantità inenarrabili di pulviscolo, luci a volte fuori posizione. Questo discorso sulla sostenibilità merita però una piccola appendice, legata non tanto al benessere dei clienti quanto a quello dei collaboratori. Ove così non fosse, quell’head-line sceso a livello di banalità del “vendiamo benessere” sarebbe truffaldino. Ora, se l’elenco di prima fosse preso punto per punto e messo… a punto, vi allenereste in una palestra di questo tipo? Direi proprio di sì. Noi del settore ci abbiamo lavorato su. Siamo pronti.
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