Nel 2027 il vertice della generazione “Z”, (nata dal 1997 in poi) avrà trent’anni. Dominerà coi suoi approcci i mercati dell’emotività, fitness trend inclusi. Avrà interesse agli obiettivi e mai più ai luoghi di lavoro, studio e sport in cui realizzarli. Preferirà avere a fianco persone che la indirizzino ai risultati senza che gli si rompano tanto le scatole sul come ottenerli. Nel fitness martoriato del 2020, i segnali della delocalizzazione dell’esercizio fisico che ci hanno accompagnato al 2021 sono stati palesi. Non c’è da esserne felici neanche un po’ dal nostro punto di vista palestraro, ma bisogna tenerne conto. Perché un problema c’è: da una situazione d’urgenza, se uno nel tempo impara ad organizzarsi per fronteggiare l’imprevisto, finirà con l’adattarsi sempre meglio a quell’imprevisto.
È la legge della sopravvivenza che agevolerebbe una gran fetta degli utenti fitness, arrecando però enormi difficoltà ai club sportivi. Nel tempo scandito dai lockdown trascorso fino ad oggi, milioni di utenti fitness nel mondo hanno consolidato expertise, si sono resi conto che non servono né finti istruttori, né App tutte uguali, né video bene o male reperibili a costo quasi zero. Né, e questo dovrebbe preoccuparci più di ogni altra cosa, pone come prioritario lo spazio nel quale mettere in atto il “proprio” fitness, perché lo ha posposto all’obiettivo vero che è quello della forma fisica. Ma passiamo alla prima parte della “trilogia” fitness. 1980-2000: culturismo.
Negli anni Ottanta, Franco Columbu, che allenava un certo Arnold Schwarzenegger, ci rivelò personalmente come il culturismo (che è sempre quello anche oggi, gli hanno solo ringiovanito il nome), ruotasse attorno a tre esercizi. Tutto il resto era contorno. Contorno che via via ha preso campo, spazzando la sostanza. Tutto questo è successo nella seconda parte della trilogia 2000-2020: fitnessismo. Arriviamo così al qui ed ora, fine Duemilaventi. Per un po’, forse per molto, il garage, la soffitta, il giardino, la cantina, il soggiorno, l’area parcheggio, si trasformeranno in palestre. Ora, se l’obiettivo non è nemmeno più quello di socializzare in palestra perché la socializzazione ha spostato il proprio raggio d’azione su campi digitali che variano a piè sospinto (Myspace è sparito in un attimo, poi sono arrivati Facebook, WhatsApp, Instagram, Tik-Tok e ne arriveranno altri), quella regola di Franco Columbu potrebbe tornare ad essere attuale andando a coincidere, curiosamente, proprio con la visione “Fitness Z”. Quella della Generazione Zeta, appunto.
Di qui in avanti, in effetti, nella terza parte della trilogia (2021-2027) sarà quello che succede sul campo a contare, non il campo stesso, che in qualche circostanza è già stato escluso in virtù dei garage e delle soffitte di cui prima. In questo anno c’è stato e c’è ancora qualcosa che sta facendo le valigie e si sta trasferendo all’esterno di migliaia palestre. Eppure questo “qualcosa” sfugge ancora. E non si catturerà né con l’ipertecnologia né con proposte di offerta di servizio remoto da cui non emerge la comprensione che l’obiettivo dell’utente fitness è tornato a essere quello della prima parte della trilogia: sorta di culturismo più raffinato, che si adatta con poco spazio e tecnologie semplici perché lascia inalterati quei “tre esercizi” di cui parlava il buon Franco Columbu. Se non si analizza a fondo questa sfumatura, nell’anno che verrà ci sarà sempre più folla sui campi di padel, con tutto il rispetto per questa frizzante disciplina, che lunghe file di una volta in attesa del leg press.
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