Ci sono tre scale temporali nella gestione club, come nelle aziende: breve, medio e lungo periodo. Riguardo agli interventi che si possono fare in questo 2021, quindi in corsa, vale lo stesso. Si possono ipotizzare manovre che diano effetto immediato, altre che producano risultati dopo un po’, altre ancora che potranno cambiare le cose più in là. In questo momento sarebbe bene invertire il processo, anteponendo il lungo al breve periodo, per decidere se al rientro si vuole rimanere al centro del mercato o starne fuori. Ma possibile che proprio ora che la crisi attanaglia ci si debba arrovellare su un ipotetico lungo periodo? Qualche domanda:
1 .Se il fitness è multicanale, avrà senso concentrare le strategie sul servizio tradizionale?
2. Se gli spazi sono polarizzati dimensionalmente, avrà senso modificare il “murario” di un club nel poco tempo disponibile?
3. Se la rifinanziarizzazione presupporrà progetti sostenibili, avrà senso tenere in piedi strutture lontane da un impatto ambientale “meno-uno”?
Palestre: gli errori da non commettere adesso
E’ ormai noto che i servizi fitness più qualitativi (quelli personalizzati) non necessariamente vengano erogati del centro fitness da parte delle risorse umane interne. Gran parte arrivano da trainer esterni i quali, a “pioggia”, li indirizzano con un colpo di tastiera sullo smartphone del cliente (nostro) che su WhatsApp fa, disfa, modifica e chi più ne ha ne metta. Personalmente, a distanza di anni, seguo per diletto clienti a mille chilometri di distanza pur avendo, questi, sotto mano, i loro trainer palestra. Visto dal fronte opposto, cioè quello della gestione del centro fitness, si rivela complicato fronteggiare competitori esterni che, se una volta necessitavano di uno studio di personal training più o meno attrezzato, oggi non hanno bisogno neanche di quello. Costi (per loro trainer) zero, salvo mettere in piedi la solita pagina Instagram e Facebook e costi (per noi palestre) inaffrontabili: affitti edifici, leasing tecnologici, compensi collaboratori e spese energetiche di ogni ordine e grado. Se poi i clienti non comprano nemmeno più i nostri servizi di alta fascia ma li acquistano a buon prezzo remotizzati, è la fine. Questa omnicanalità attraverso cui il fitness-flow è tutorializzato e non più in presenza, non s’interromperà. Soluzioni? Due: internalizzare l’omnicanalità con la testa, dirottando investimenti su questo nuovo mondo e non su un controsoffitto, o ridursi spazialmente, accelerando con le produzioni di fitness in remoto in piccoli hub. Tenendo presente che le palestre, anche le più piccole e sperdute, dovranno trasferire tutta la loro identità sul web non solo tutorial randomizzati. E se le cose stanno così, non è detto che il “fisicamente piccolo” non potrà competere con quello “fisicamente grande”. Investirci su è d’obbligo e Peloton c’era prima del Covid.
La polarizzazione dimensionale
Se diventiamo quello che nel tempo facciamo come persone, una palestra diventa quello che fa negli anni. Perciò adesso non possiamo cambiare faccia all’improvviso, possiamo solo decidere se muoverci quantitativamente, con spazi ampliati al massimo dotati di aree outdoor mezze coperte e mezze no anti-assembramento. Oppure, al polo dimensionale opposto, possiamo stabilire se orientarci alla qualità, con punti sport minaturizzati e super-ermetizzati che mettano in sicurezza l’attività individuale. Perché non ci sarà spazio per una falsa lezione di personal training con cinque utenti contemporanei. Il personal è personale e oltre uno, due al massimo, c’è un punto di rottura. Polarizzazione dimensionale e “ibridizzazione strutturale”, oltre quella umana (trainer reale e virtuale) e tecnologica (attrezzi multifunzione o da asporto), vedrà vincenti strutture fitness sportive “a tempo”, “sostenibili”, “riconvertibili”, a “impatto meno-uno”. L’espansione dei metri quadri di verde fitness dovrà correre parallela ai metri quadri d’installazione sportiva.
Rifinanziarizzazione dei progetti a impatto “meno-uno”.
Le definizioni sulla sostenibilità si moltiplicano al punto che la parola ne sta perdendo senso. Semplifichiamo il concetto e torniamo all’ibridizzazione strutturale: immaginiamo spazi fitness semi aperti circondati da piante e fiori con una molteplicità di “tasche” in cui vengono inseriti altri punti verdi. Magari anche piccoli orti. Effetto: una fitness-facility “appoggiata” ma ad alta tecnologia, non un gazebo che prende il volo con un’ala di vento o che sprofonda sotto la prima pioggia. Giardini orizzontali e verticali che immetteranno ossigeno ovunque e non sottoprodotti. Così facendo le operazioni di rifinanziarizzazione progettuale saranno accolte da istituzioni politiche e banche, in un quadro di eco-sostenibilità. E non c’è solo questo. Riqualificare ora una struttura tradizionale in un momento in cui le aree di attività (secco e bagnato) non necessariamente verranno reinserite nel punto sport tradizionale, comporta ancora costi irrecuperabili. Ma se la struttura aziendale sarà più leggera, inclusa la struttura fisica stessa che accoglierà il centro fitness, il mercato nazionale e internazionale potrà ripartire più veloce. Pronto entro il 2021 a riaccogliere tutti.
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