Dalle “Idi di marzo” 2020 e dall’esplosione della pandemia da Coronavirus che hanno tramortito le caratteristiche strutturali delle case in cui viviamo, due elementi si sono inseriti prepotentemente nei nostri concept abitativi:
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l’assoluta necessità di disporre di una work-station;
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l’assoluta necessità di disporre di una workout-station.
Chi pensa (il costruttore) che senza queste due mini-aree l’unità immobiliare d’oggi sia al passo coi tempi e spendibile sul mercato delle vendite e degli affitti, non vive il contesto. O magari lo rifiuta o semplicemente è disattento. L’ibridizzazione del fitness è ormai nota, a cominciare dalle stesse discipline, che non sono più categorizzabili, vedi ossimori come il power-yoga o il soft-functional. E non solo: non risultano nemmeno più localizzabili. Ognuno si muove dove gli pare. Dalla necessità dell’ultimo anno, pazzesco per il fitness, si è fatta, in qualche coraggiosa circostanza, virtù. Abbiamo visto una serie di commoventi soluzioni alternative, prime fra tutte quelle di palestre che con spirito combattivo provavano a predisporre aree all’aperto per resistere. Resistere e sopravvivere. Ma non bastava e non basta più adesso.
Ogni volta che si parla di area fitness in un grande contesto immobiliare che non sia la struttura-palestra prestabilita, salgono i brividi ai titolari delle palestre stesse che, invece, proprio lì dentro, nei grandi condomini e complessi multifamiliari, potrebbero estendere la gittata dei loro servizi: facendosi vivi coi committenti già alla stesura del progetto preliminare dell’attiguo complesso abitativo. In fondo questo succede già, ma in senso negativo: istruttori appena usciti dalle palestre, specie quelli più “avvelenati” da un cattivo rapporto col management che li ha contrastati invece di valorizzarli, nel volgere di poco organizzano uno studio per conto loro. Prima si fa un giro nella zona attorno alla palestra, poi si sceglie con calma un posto decoroso con affitto accettabile e infine si parte. Le cose vanno esattamente così. Ma c’è un’altra questione.
Di qui in avanti, il concetto di sostenibilità tanto deriso dal management conservatore abituato ad andare per le spicce e sul concreto, seppur polveroso, sarà la chiave nello sviluppo delle nuove aziende. Sostenibilità, quindi, a cominciare proprio dalle grandi realtà del settore immobiliare, che potranno attrarre più capitali attraverso canali tradizionali con istituti bancari che si specchieranno orgogliosi nel loro essere “finanziatori sostenibili” e attraverso fonti finanziarie alternative, coinvolgibili solo e se in presenza di sviluppo territoriale, appunto, sostenibile.
Nelle riqualificazioni più avanzate, nelle quali va sottolineato l’esempio straordinario del Bosco Verticale, capolavoro di ricettività a breve affiancato da altri progetti dello stesso stampo, la presenza delle mini-aree cui s’accennava prima (work-station e workout-station) sarà cruciale. Imprescindibile. L’opportunità di riqualificare secondo canoni accelerati dagli eventi pandemici, risponde alla necessità di posizionare ora, all’interno delle strutture immobiliari, piccole aree ibride dove praticare attività fitness-sportive in-door che completino la fruibilità degli spazi per l’attività sportiva out-door. Un segnale per i grandi fitness network che potrebbero diversificarsi a brand con mini aree extra-palestra. E un suggerimento per le aziende dell’immobile illuminate che sono al lavoro con architetti e urbanisti ad alto tasso di professionalità sostenibile.
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