Se chiederete a Matteo Della Bordella come mai invece di prendere un elicottero ha preferito pagaiare per 200 km tra gli iceberg della Groenlandia per raggiungere lo Shark Tooth, la parete di 900 m ancora vergine che ha scalato nell’agosto 2014, vi risponderà quasi stupito: “Mah, è stata una scelta naturale”. Questo serial climber trentunenne originario di Varese esponente dell’alpinismo by fair means, ovvero quello che risponde alle parole d’ordine “essenzialità, leggerezza e rispetto della montagna”, si appresta a compiere l’ennesima impresa titanica: conquistare gli 800 metri della parete ovest ancora inviolata del Bhaghirathi IV nel Garwhal indiano, una big wall verticale su un gigante di 6193 metri. Questa volta, insieme alla solita buona dose di adrenalina e avventura, ci sarà un nuovo ingrediente: l’alta quota.
Quest’avventura rappresenta un nuovo tassello da aggiungere al puzzle delle spedizioni sulle pareti più scoscese del mondo condotte da Matteo a partire dall’ingresso nei Ragni di Lecco nel 2006: Shark Tooth, Fitz Roy, Uli Biaho, Torre Egger e tante altre. Tratto comune a tutte le ascese è la volontà di muoversi leggeri, agili, con un bagaglio essenziale e senza lasciare nulla sulla montagna.
Il 16 agosto un volo diretto a Nuova Delhi lo porterà in India insieme ai due giovani alpinisti Luca Schiera e Matteo De Zaiacomo e ad Arianna Colliard, fotografa e videomaker nonché compagna di Della Bordella. Abbiamo intervistato Matteo, fresco di Grignetta d’Oro, per farci raccontare la sua prossima ambiziosa spedizione.
Un tratto distintivo del tuo stile alpinistico è la leggerezza e l’essenzialità. Inoltre sei un fervente devoto del trad climbing (alpinismo solo con protezioni mobili). A cosa devi questa scelta?
Per scalare le montagne ho scelto lo stile più naturale possibile. Mi piace pensare che come durante l’ascesa non trovo elementi “umani”, così in discesa è mia responsabilità far sì di non lasciarne. L’ambiente deve rimanere intatto, il nostro passaggio non deve essere tracciabile. Ciò che amo è confrontarmi con un ambiente dove gli unici protagonisti siamo io e la parete. E la scelta di adottare uno stile pulito in realtà non si limita al momento dell’apertura della via, ma contraddistingue tutto il viaggio. Per esempio, quando siamo partiti a scalare lo Shark Tooth in Groenlandia avremmo potuto benissimo raggiungere il “dente” a bordo di un elicottero, ma abbiamo scelto di arrivare alle sue pendici pagaiando per 200 km (era la prima volta che usavo un kayak) e, una volta sbarcati, camminando per 25 km: sicuramente più faticoso e difficile, ma anche più coerente con la nostra idea di alpinismo.
Anche in India adotterete questo approccio?
In India la realtà è diversa. Possiamo dire in un certo senso che si tratta di un contesto più istituzionalizzato: devi richiedere i permessi, hai un bagaglio più consistente che è difficile ridurre all’osso, le condizioni di ascesa possono davvero farsi difficili. Quindi abbiamo accettato un compromesso: ci appoggeremo a un’agenzia locale e arriveremo a campo base con circa venticinque portatori (ci sarà perfino un cuoco), come fanno tutti gli alpinisti. Poi da lì partirà l’avventura e la scalata in libera, quanto più possibile nel rispetto del nostro solito stile alpino.
Quanti bagagli avete preparato?
Abbiamo otto bagagli da 25 kg l’uno per un totale di 200 kg in tre. C’è da contare che la spedizione durerà 50 giorni (il ritorno è previsto per il 7 ottobre).
È sempre curioso immaginare come si svolgano i pasti in parete. Cosa ti porti da mangiare per rifocillarti dopo un giorno di scalata?
Se in Groenlandia abbiamo “banchettato” con bresaola e buste di cous cous istantaneo, in India dovremo rinunciare a tutto ciò che contiene carne o derivati animali. Questo perché il Bhaghirathi si trova in un nel Parco Nazionale del Gangotri, un vero santuario dove è collocato il ghiacciaio da cui nasce il Gange: si tratta di un ambiente sacro in cui è vietato portare animali sia vivi, sia morti. Sarà un bell’esperimento intraprendere una scalata vegana.
Come vi siete preparati tu, Matteo e Luca per questa impresa?
Siamo un trio molto affiatato e ci conosciamo bene anche come sportivi. Direi che la cordata c’è. È da anni che scaliamo insieme, quindi sappiamo cosa possiamo aspettarci dalle nostre prestazioni. Per allenarci siamo andati sul Monte Bianco: per me rimane sempre lo spot migliore in assoluto dove prepararsi in vista di una grande spedizione.
Cosa ti spaventa della scalata sulla parete ovest del Bhaghirathi IV?
Prima ancora della scalata in sé, mi spaventa l’eventualità di prendere qualche virus che mi debiliti subito in partenza. Sai, l’India è sempre l’India. Poi, speriamo che le condizioni climatiche siano favorevoli: entro fine agosto il monsone dovrebbe esaurirsi e dal 5 settembre, dopo qualche giorno di studio e di acclimatamento, inizieremo a scalare. Infine, ovviamente, c’è l’emozione, il timore e la riverenza di fronte a una big wall che, nonostante tanti alpinisti abbiano provato a conquistarla, rimane ancora inviolata.
Le tue sono sempre state spedizioni low budget: quanti soldi servono per organizzare la scalata sul Bhaghirathi IV?
Facendo un calcolo approssimativo circa 4000 euro a testa, tutto compreso.
Ci terrai aggiornati sui progressi della spedizione?
La vedo dura. Nel parco vige il divieto assoluto di portare e usare telefoni satellitari. E le guardie sono molto severe: se ti beccano con il telefono te lo sequestrano e ti mettono in galera. Noi lo portiamo dietro, poi chissà, speriamo di non finire come i due marò.
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