Ad agosto ho deciso di non registrare nessun allenamento. Anzi, di più, ho deciso che dal 1 al 31 agosto non metterò al polso il mio Polar Vantage V. Oddio, qualche eccezione magari la farò, ma giusto se dovesse capitare di fare qualche giro nuovo, bello e che ho voglia di conservare. Ma appunto, qualche giro e il ricordo del percorso, non tempi, km e prestazioni. Soprattutto non tempi, km e prestazioni dei “soliti” allenamenti sui “soliti” percorsi. L’ho deciso ieri, domenica 2 agosto 2020, quando sono uscito in mountain bike e dopo 3 pedalate mi sono accorto di non aver preso lo sportwatch. Stavo per tornare in casa quando mi son detto: “Massì, amen, se anche non registro questa uscita non è una tragedia“. Appunto: non è una tragedia. Tragedia minima ovviamente, perché le tragedie vere sono altre. Però mentre pedalavo ho pensato anche alla reazione della mia “bolla social” al down dei servizi di Garmin Connect. Ora, se non lo sapete, la piattaforma di registrazione di Garmin è finita sotto attacco hacker, e per qualche giorno non è stato possibile caricare, registrare e valutare i dati dei propri allenamenti.
Ecco, nella mia “bolla social” ho visto gente davvero in crisi di astinenza. Crisi d’astinenza tossica da sportwatch, da tracking, da misurazione dell’allenamento. Gente che ha svalvolato perché non poteva caricare l’ultimo allenamento. Gente che ha svalvolato perché non poteva sapere se l’ultimo km lo aveva corso / pedalato più veloce o più lento del giorno prima. Roba che neanche un fumatore incallito su un volo New York – Singapore, che è il più lungo volo al mondo, ben 19 ore senza scali.
Perché ho deciso di non registrare nessun allenamento
Questa cosa mi ha fatto pensare un po’ anche al concetto di vacanza, la cui etimologia deriva dal latino vacans, che significa vuoto. E le vacanze sono appunto questo, un periodo di vuoto rispetto al pieno solito. Per lo più vuoto dal lavoro, che è ciò che riempie normalmente le nostre giornate, e questo è legittimo. Poi però quel vuoto si limita a quello e spesso finiamo per riempirlo con altri “pieni”. Il pieno di social, il pieno di smartphone, il pieno di gadget elettronici come appunto lo sportwatch. In questo periodo sto leggendo “Camminare” di Erling Kagge, e nelle prime pagine c’è una frase molto bella e che mi ha fatto pensare: “in questo posto mi sono già perso, per cui so dove siamo“. Ecco, sportwatch, smartphone, navigatori, GPS ci hanno tolto il gusto di perderci, di non sapere dove siamo, quanta strada abbiamo fatto, quanta ancora dobbiamo farne. E con questo anche il gusto di andare a sensazioni, di ragionare con la testa, gli occhi e il naso, di percepire la stanchezza da soli senza che ce lo dica un tracker e di decidere la direzione da prendere senza che ce lo dica il navigatore. In auto, a piedi o in bici che siamo.
Solitamente, all’arrivo delle vacanze, fioccano gli articoli sul digital detox. Guru del digital ci dicono che prendersi una pausa dai social e dagli altri strumenti digitali può solo farci del bene, farci ripensare al nostro rapporto con la tecnologia, farci rallentare, farci vivere meglio. Digital wellbeing qualcuno lo chiama anche. Benessere digitale.
Ecco, io non so se ho bisogno di un digital detox da sportwatch, lo scoprirò probabilmente a fine agosto. Però sì, ho deciso che per tutto questo mese estivo quando esco a correre o a pedalare lo farò digital free: niente sportwatch, niente smartphone, niente musica. Andrò a caso, a sensazione, a naso, ascoltando il respiro, i muscoli, il cuore e soprattutto ciò che mi circonda. La mia App rimarrà vuota per un mese? Nessuno metterà dei kudos sul mio Strava? Non avrò da condividere nessun allenamento beccandomi dei like? E pazienza, non è che si ferma il mondo. Anzi, forse il mondo va avanti proprio perché riusciamo ad appropriarci di ciò che è nostro, ovvero le sensazioni e il piacere intrinseco di fare le cose senza volerle per forza misurare. Ecco perché ad agosto ho deciso di non registrare nessun allenamento.
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