Se prendi un coach per l’Ironman Copenaghen 2019, è perché hai bisogno di uno che ti dica cosa fare. Punto. Lui prescrive, tu esegui. “Padrun comanda, caval trota” lo dice spesso lo Zaffa, l’amico del Carlo. E così lo stesso Carlo venerdì sera ha aperto Training Peaks – la piattaforma dove coach Matteo deposita gli allenamenti (sarebbe meglio dire lì condivide) – e si è ritrovato la tabellina del sabato. Visto che domenica il Carlo era iscritto alla Granfondo Colnago di Desenzano sul Garda, l’allenatore ha pensato bene di fargli fare il giorno prima una bella seduta di corsa a piedi con un lavoro di qualità: 6 ripetute da mille, all’andatura di meno cinque secondi del ritmo gara.
Quindi, sabato all’alba, il Carlo si è alzato di buzzo buono, sapendo che la mattinata sarebbe stata impegnativa: colazione moderata, Gazza aperta sull’iPad, una passeggiatina con il Marshall (il suo Amstaff nero di tre anni) e ritorno a casa per infilarsi le Hoka. Alle 11 del mattino si scalda al Bajo, un quartiere di villette stile Beverly Hills, e al click sul Garmin al polso inizia la prima ripetuta. Il problema delle ripetute per il Carlo è capire se la velocità sia quella giusta, quella richiesta dal suo coach, perché lui lo sa bene che certi lavori vanno fatti con la testa, cioè con concentrazione. La prima la chiude a 4’33” al km. Non male pensa. Un minuto e mezzo di recupero da fermo e via la seconda, chiusa a 4’15”, troppo veloce, ma c’è una spiegazione: il Carlo si è ritrovato a correre mentre veniva superato dalla Marta Zenoni, una coetanea di sua figlia che pare essere un talento del mezzo fondo azzurro, e sull’onda dell’entusiasmo si vede che ha accelerato un po’. Seguiranno altre 4 ripetute, e il ritorno a casa con i quadricipiti che gridavano pietà.
E al Carlo i quadricipiti hanno risposto picche anche il giorno dopo, nelle pedalate della granfondo Colnago sul Lago di Garda. L’idea era di fare il percorso lungo di 145 km, ma si era capito da subito che quello di 110 sarebbe stato il tracciato migliore. Con lui l’inseparabile socio d’avventure sportive, Jeepy, soprannominato così per le qualità sciistiche che lo vedono controllare la tecnica di discesa sulla neve in modo eccelso, e mica per niente è un allenatore di sci alpino. L’amico Jeepy in vista della granfondo ha preso la bici dal garage per la prima volta in questo 2019: se a fine gara qualcuno gli avesse chiesto quanti chilometri avesse pedalato fino a quel momento, avrebbe risposto: “Semplice: centodieci!”.
E che bei centodieci, perché il giudizio generale sulla gara nelle chiacchierate in macchina rientrando a casa, è stato all’unanimità più che positivo. Ciò che ha colpito di più della Granfondo Colnago è l’assoluto presidio di tutti gli incroci stradali: ad ogni svincolo, a tutti i crocevia, qualsiasi incrocio sempre un volontario a bloccare il traffico. Difficile trovare gare amatoriali con un livello di assistenza in strada di questo livello. Perché le competizioni sono belle, ma la sicurezza è ancor più affascinante. Poi viene il giudizio tecnico sul tracciato, e anche in questo caso il Carlo si abbandona ad apprezzamenti generalizzati.
Per il nostro, infatti, il percorso di gara è stato l’ideale per questo inizio di stagione: vallonato, nessuna pendenza impossibile, lunghi tratti in piano. Le gambe non giravano come avrebbe voluto, e il lavoro svolto il giorno prima ha presentato il conto: “Ma non è adesso che devo essere in forma” pensa il Carlo. La strada verso l’Ironman di Copenhagen è ancora lunga, e ce ne sono di chilometri da pedalare. Tuttavia quando si è trattato di spingere non si è tirato indietro: alla fine ha fatto segnare 181 watt di potenza media che ha fatto dire al suo coach “Hai fatto una buona prestazione. O meglio: un ottimo allenamento”. Sono segnali positivi per l’autostima di un futuro ironman. E un coach serve a questo. O meglio, anche a questo.
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