Non sono solo la fatica, il tempo impiegato o l’emozione al traguardo a disegnare in modo indelebile l’esperienza della maratona. Resterà anche la consapevolezza e la sensazione che sia avvenuto qualcosa che ci ha cambiati – migliorandoci – per sempre. Ecco cosa fare perché la maratona ci renda felici.
Mentre percorrevo con grande fatica e sofferenza in un giorno di primavera del 2006 gli ultimi km della mia prima maratona (a Roma) immaginavo, interpretandolo come se vivessi la scena, come avrei raccontato alla mia famiglia e agli amici quei momenti terribili e bellissimi che precedevano lo striscione sui Fori Imperiali. Negli interminabili chilometri finali stavo costruendo, quasi senza che me ne rendessi conto, una nuova percezione di me stesso e del modo di stare con gli altri.
Ora, 25 maratone dopo, posso davvero confermare che questa capacità di trasformare la propria presenza nel mondo e il modo di raccontarsi sia la cosa migliore che queste esperienze mi hanno lasciato, rendendomi davvero più felice.
Provo a riassumere tutto ciò in quattro aspetti e pratiche da sperimentare. (Con l’avvertenza che non si tratta di momenti che si succedono, uno dopo l’altro, ma di fenomeni contemporanei, che vengono qui mostrati separatamente per chiarezza).
Costruire se stessi con la maratona
Distanze, tabelle, tempi al chilometro e la data della maratona lì davanti, ogni giorno più vicina. Va inserito tutto in un processo di autoaffermazione, di accettazione complessiva e coraggiosa della vita, comprese le sue difficoltà: processo del quale diventiamo protagonisti, autori, artefici. Un percorso anche interiore che attribuisce senso a tutto: al freddo e alla pioggia, alla sensazione – che avevamo stamattina al momento di partire – di non poter arrivare alla fine dei 36 km del lunghissimo di oggi, al dolore al tendine infiammato. E ci aiuta a vedere nello stesso modo il resto: il lavoro, gli affetti, i contrattempi, le grandi trasformazioni cui siamo obbligati.
Nessun senso di onnipotenza sia chiaro: ma al contrario consapevolezza sia dei limiti, sia delle possibilità di essere in parte artefici della nostra vita.
Questa costruzione di se stessi funziona solo se sappiamo accettare tutto quel che arriva, se abbiamo ben impressa l’idea che stiamo crescendo, maturando, rinforzandoci, giorno dopo giorno, qualsiasi sia la nostra età, qualsiasi sia la nostra forza, la nostra velocità di corsa.
Con tale consapevolezza avremo a disposizione uno strumento efficacissimo per guardare noi stessi e la nostra esistenza, per attribuire valore e originalità a ciò che siamo e soprattutto a ciò stiamo diventando, diventeremo. Piano piano, allenamento dopo allenamento, traguardo dopo traguardo.
Consiglio pratico: dedicare almeno un’ora di allenamento settimanale a pensare, a sentire, come stiamo cambiando, noi stessi e con gli altri, grazie alla corsa.
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Narrazioni
Parte importante di questa costruzione di noi stessi è però la volontà e la capacità che abbiamo di raccontare le nostre sensazioni e il nostro ruolo attivo in questo processo. Di farlo prima di tutto dentro di noi, a quella specie di altro io con il quale ciascuno è sempre in relazione di dialogo. E poi con gli altri, quando parliamo di noi, della relazione che abbiamo con il mondo alla luce dell’allenamento che facciamo, della fatica, dei nostri miglioramenti, dei risultati. Il che significa però non parlare solo della corsa, degli allenamenti e degli obiettivi. Significa raccontare queste attività, diventate così importanti, dentro tutto il resto della nostra vita. Significa anche ascoltare le passioni degli altri.
Consiglio pratico: Scrivere un diario della corsa con questo spirito: raccontare il nostro io che si va trasformando, analizzando ogni volta aspetti diversi della relazione fra la corsa e il resto della nostra vita.
Il corpo della maratona
Correndo e allenandoci per la maratona diventiamo consapevoli che noi siamo il nostro corpo. Vale a dire, ci liberiamo finalmente di una metafora che ci condiziona ben presto nella vita: il dualismo mente – corpo. Che è un po’ come dire che viviamo come se il corpo fosse un estraneo per la mente, o almeno un’entità separata.
La corsa lunga e la fatica associata, il sudore copioso, il caldo e il freddo, il modo in cui osserviamo l’orizzonte o chi corre accanto a noi o chi sta fermo a guardarci, i crampi e il dolore, la stanchezza prima di coricarci, tutto ciò e molte altre sensazioni corporee ci mostrano invece, in modo da non potere nutrire dubbi, che la nostra presenza nel mondo è la presenza in esso del nostro corpo. Imparare a correre, significa imparare a essere consapevoli di questa presenza. Correre, giorno dopo giorno, ci porta a sentire di aver superato il dualismo mente – corpo. Ci porta ad amare noi stessi percependo il nostro corpo come un intero.
Consiglio pratico: parte del diario di cui al punto precedente potrebbe essere dedicato, almeno una volta alla settimana, alla descrizione di tutte le attività e le percezioni del corpo nella corsa. Un buon modo per cominciare è fissare l’attenzione su una parte – per esempio una vertebra – per poi estenderla al resto del corpo in movimento e poi arrivare alla percezione dello spazio intorno.
Pensare alla maratona e al resto della vita
Quanto appena affermato a proposito del corpo non esclude la possibilità di pensare, anche a fondo, ovviamente. Chi corre sa benissimo che l’allenamento può essere un laboratorio formidabile per affrontare e analizzare la vita non tenendo lontano o dimenticando le difficoltà e le complicazioni, ma guardandole, per così dire, senza paura, relativizzando e allargando il contesto. Ma la corsa è anche adatta a pensieri più concentrati, per esempio a ripetersi mentalmente un discorso argomentativo, a ricordare un testo che abbiamo studiato o semplicemente letto.
Consiglio pratico: durante gli allenamenti lunghi > 30km, provate a ricordare in modo sistematico un film che avete visto, o un libro letto, elencandone pregi e difetti e quel che vi pare il loro significato più importante. Sperimenterete una chiarezza e pulizia di pensiero sorprendenti. (Credits photo: Pixabay) Ti è piaciuto questo articolo? Parliamone sulla nostra pagina Facebook
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