Henri Aymonod, valdostano, è tra i migliori mountain runner italiani di ogni tempo. Soprannominato l’uomo dei vertical per la sua predilizione per le corse in estrema salita, vive la montagna in ogni stagione, alternando running e sci alpinismo con estrema naturalezza.
Henri Aymonod: correndo in montagna ti senti parte della natura
L’abbiamo incontrato in occasione del Cortina Outdoor Summer Camp organizzato da The North Face, di cui è parte del team di atleti. E questa è stata l’occasione per una chiacchierata dalle prime corse da bambino ai prossimi sogni da realizzare come atleta.
Come ti sei avvicinato alla corsa? Cioè qual è stato il tuo percorso sportivo da bambino?
Devo premettere che essendo nato e abitando in Valle d’Aosta, l’ambiente ha influito molto. Poi siamo 3 fratelli gemelli, e fin da piccoli siamo sempre andati in montagna, nella casa estiva di famiglia, e quindi era naturale uscire a esplorare il mondo intorno. E così un giorno arrivavamo in un punto, e il giorno dopo volevamo andare un po’ oltre, ma dovevamo sempre ritornare per l’ora di pranzo altrimenti mamma la sentivamo per tutta la valle, e quindi la cosa più naturale da fare era salire e scendere di corsa.
Per la verità i miei genitori hanno sempre voluto che provassi diversi sport, quindi ho cominciato con il nuoto da piccolino, e l’ho fatto per 8 anni di cui 2 di agonismo, poi son passato allo sci di fondo, che ho fatto per una decina d’anni buoni…
Ma in tutto questo ho sempre corso, perché la corsa è sempre stato il mio più grande amore, anche senza fare gare, che ho cominciato a fare solo da junior, e in modo molto istintivo.
Che cosa ti ha fatto dire “Wow, questo è il mio sport”?
Penso che sia stata la conseguenza appunto dell’aver provato tante altre cose, e il fatto che comunque i miei genitori non mi hanno mai messo pressione a livello agonistico. Ma era proprio il nostro istinto di bambini quello di andare in giro a correre in montagna sfidandoci tra di noi. Chiaro che poi i risultati hanno anche aiutato, perché sicuramente vincere le gare quando si è giovani aiuta. Però col senno di poi credo che la cosa che più mi ha fatto innamorare di questo sport è proprio la passione intrinseca per la montagna della mia famiglia, e quindi è stato tutta un’evoluzione naturale.
Nel trail fai un po’ tutte le discipline, ma sei noto soprattutto come l’uomo dei vertical: come sei finito a specializzarti in una disciplina così particolare?
Credo che anche questo sia un adattamento del passato, dovuto alle sfide che facevo con i miei fratelli da piccoli, tagliando i sentieri invece che fare i tornanti. L’idea era di arrivare primi in cima, e quindi io tagliavo sempre dritto e da lì probabilmente gli adattamenti fin da piccolo mi hanno portato a essere più performante e più competitivo sui sentieri ripidi.
E poi è una disciplina in cui secondo me ci sono pochi filtri, nel senso che il proprio valore atletico e sportivo emerge, cioè non ci sono molte variabili in gioco, o sei forte o non sei forte o sei in forma o non sei in forma.
Io sono sempre stato una persona molto competitiva, e il vertical è una disciplina in cui non ci sono grosse variabili, non c’è strategia, non c’è tattica. Su mezz’ora di gara comunque, non è che hai tanto tempo di pensare a cosa fare, devi essere in forma in quel momento, concentrare tutte le energie in quella mezz’ora e andare al massimo.
Vieni descritto come un atleta poliedrico, non solo nel Trail Running ma anche per altri sport come lo scialpinismo. Che cosa porti da uno sport all’altro?
Io sono sempre stato uno che seguiva molto l’istinto, quindi quando inizia a nevicare mi stufo di correre e quando inizia a far caldo e la neve diventava marcia comincio a correre. Ho sempre seguito molto la stagionalità e ho cercato di seguire molto i ritmi, senza impormi di dire faccio questa cosa perché la devo fare, devo tenermi in questo modo perché è così che bisogna fare per andar forte.
Io ho sempre fatto le cose in maniera molto naturale, spontanea, quindi le discipline sportive che faccio adesso sono quelle che mi sono più affini e mi completano.
E poi alla fine è il divertimento alla base di tutto. Se uno non si diverte con quello che fa non andrà mai forte. Quindi il fatto che io utilizzo tanto la bici nella mia preparazione, il fatto che faccio scialpinismo d’inverno, vado in montagna anche solo a camminare in alta quota è sì un modo per allenarmi, ma è anche un modo per essere me stesso e fare le cose in maniera molto spontanea e libera.
Il Trail è una disciplina relativamente nuova, senza la storia per esempio della maratona alle sue spalle dal punto di vista della metodologia dell’allenamento. Tu come li costruisci i tuoi allenamenti? Cerchi di rubare qualcosa ad altri sport o provi a sperimentare cose inedite?
Intanto devo premettere che sono laureato in scienze motorie e molto appassionato di teoria dell’allenamento. Poi sì, per il Trail Running la ricerca bibliografica e scientifica è minore rispetto alle discipline classiche dell’atletica, e quindi insieme al mio allenatore c’è spesso questo dialogo e questo confronto sulla metodologia.
Anche perché sono convinto che a un certo punto è anche l’atleta che allena il suo allenatore. Voglio dire, a un certo punto sei tu atleta che devi dare dei feedback su quello che funziona e su quello che ti manca. Certo ci sono le tabelle, ma non sono valide per tutti e l’importante è trovare un buon equilibrio con il proprio allenatore. Ma tornando alla domanda, certamente c’è ancora tanto da da scoprire, tanto da fare.
E mi rendo conto che adesso il Trail è un po’ in una fase in cui ci si può arrivare in due diversi modi. C’è chi ci arriva dall’atletica tradizionale, quindi sono atleti che in generale riescono a correre molto forte anche in pianura, e chi invece ci arriva con un approccio se vuoi più alpinistico.
E allora quale pensi che potrà essere l’evoluzione del Trail: vivrà un boom come quello del running o pensi che rimarrà una disciplina di relativa nicchia?
Io penso che sia una disciplina comunque destinata a esplodere. C’è anche questa ipotesi di inserirla tra le discipline olimpiche perché indubbiamente può dare molto anche a livello di spettacolo televisivo.
E quindi son convinto che i numeri aumenteranno ancora tantissimo e vedremo tanta gente che corre nei sentieri in futuro.
Però credo anche che come nell’atletica, col tempo ci sarà sempre più una distinzione tra atleti di alto livello e atleti amatoriali. Adesso sai, noi facciamo tante gare e gli amatori possono correre con noi, ma col tempo credo che si andranno a definire delle griglie, come nelle maratone, e poi arriverà sicuramente un campionato specifico riservato solo agli atleti.
Qual è secondo te l’essenza profonda, il significato profondo della corsa in montagna?
Secondo me è proprio il fatto di sentirsi completamente parte della natura. Io quando corro in montagna, e lo pensavo già da piccolo, vedo sempre l’umano come un essere vivente un po’ inquinante, un po’ esterno rispetto a tutti gli altri esseri viventi del nostro pianeta. E quindi correre in montagna, a mio modo di vedere, ti avvicina un po di più a quel tipo di ambiente, se vuoi selvaggio e animalesco, che c’è in montagna.
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