Sono arrivato al traguardo, ho conquistato la medaglia e posso dire che sì, sono un finisher della Reebok Spartan Race. Della mia prima Spartan Race, quella di Milano del 13 giugno 2015, che abbiamo corso a Cardano al Campo nel crossodromo accanto all’aeroporto di Malpensa.
E comunque, se avete cliccato per sapere com’è correre e terminare una Reebok Spartan Race, mi dispiace ma la risposta è una sola: bisogna correre e arrivare fino in fondo per capire davvero cos’è.
Ci eravamo anche un po’ preparati, cercando di prevedere gli ostacoli (qui avevamo anche letto come si superano i più comuni ostacoli della Spartan Race) e di allenarci un po’ (qui avevamo anche scritto di come ci si allena per la Spartan Race). Poi però ogni corsa è una storia a sé. Per esempio, noi abbiamo corso dopo una notte ininterrotta di temporali su tutte le Prealpi varesine, e il risultato è stato uno solo: fango come se non ci fosse un domani. Non solo nei guadi e nelle zone predisposte per inzaccherarsi un po’ scarpe e tutto il resto. C’era fango ovunque, lungo tutto il percorso, e anche fuori nelle aree per il pubblico. Pareva Apocalypse Now. Bellissimo. Davvero.
Che poi i 6 km e rotti di corsa sono forse la cosa più semplice da fare. Anche perché correndo nel fango era più che altro una corsa a passettini rapidi e accorti, in fila indiana nei passaggi più stretti, un po’ più sciolta quando c’era un sentiero più aperto.
Il vero casino è stata la corda su cui issarsi: impossibile. Alle 4 del pomeriggio, dopo qualche migliaio di persone, era una specie di frusta inafferrabile: ci abbiamo provato un paio di volte e poi via, 30 burpees e amen. Non è stata una resa, ma il piano B per giungere al traguardo. Altro terno al lotto il giavellotto: one shot one goal, che non è andato e allora via di altri 30 burpees. Per un totale di 60 lungo tutto il percorso, perché gli altri ostacoli li abbiamo superati tutti più o meno agilmente.
Quello che ci ha messo davvero a dura prova son stati i sacchi da portare in cima alla collina e poi riportare alla base: in vetta ci siamo fermati qualche secondo perché eravamo a pezzi, gambe e schiena. Il filo spinato invece l’abbiamo superato rotolando sul fianco: c’era chi strisciava come un soldato, ma a noi il modo più ergonomico per passare indenni da pungiglioni e sassi è sembrato rotolare su noi stessi per tutto il tratto col filo spinato. Ci siamo presi qualche secondo per ripristinare l’equilibrio appena rialzati, ma poi siamo ripartiti alla grande.
I muri… be’, sui i muri il problema vero è stato scendere senza inchiodarsi. Salire siamo saliti, più o meno senza problemi, ma la discesa era una patina di fango e c’è voluta qualche accortezza in più per riuscire a tenere l’equilibrio. Poi il bello della Spartan Race è che acuisce il senso di adattamento, per esempio nelle discese dalle colline: ormai erano uno scivolo liso di fango e stare in piedi era davvero complicato. E così, via, siamo scivolati insieme a tanti altri, un po’ come sulla neve, e siamo arrivati a fine corsa più velocemente e con meno imprevisti che non camminando eretti.
I guadi nel fango sono una libidine coi fiocchi. Quella cosa per cui ti immergi nel fango e cammini, come sognano di fare i bambini e come praticamente non ti capita quasi mai di fare nella vita urbana, è una delle sensazioni più belle della Spartan Race. Un po’ un ritorno ai primordi, alle cose davvero belle, concrete, basiche, con l’acqua alla vita, i piedi che si impantanano, le ginocchia sbucciate che bruciano un po’, però tutto è bellissimo. Davvero.
Ci preoccupavano un po’ anche le scale di corda, ma basta avere un po’ di tecnica (o copiare quelli che ce l’hanno, a proposito di spirito di adattamento) e vanno via veloci e divertenti.
Insomma, per capire davvero com’è correre una Spartan Race e tagliare il traguardo infilandosi al collo la medaglia del finisher c’è solo un modo: correre una Reebok Spartan Race, e farlo all’insegna dello spirito di adattamento e dell’obiettivo di raggiungere il traguardo. Perché quello che conta davvero è arrivare all’ostacolo di fuoco, saltarlo di slancio e alzare le braccia sentendosi davvero uno Spartano. Aroo!
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