Le corse lunghe allenano il cuore, gli sprint i muscoli: la ricerca

Le corse lunghe allenano il cuore, gli sprint i muscoli: lo dimostra una ricerca sugli adattamenti centrali e periferici dei 2 allenamenti: a intervalli o corsa lenta

Le corse lunghe allenano il cuore, gli sprint i muscoli

Dal punto di vista dell’adattamento fisiologico e dello stato di forma che differenza c’è tra un lungo allenamento, a ritmo moderato o lento, e il cosiddetto Interval Training ad alta intensità? Cioè un allenamento con una serie di sprint alla massima intensità e periodi di recupero prolungati? Secondo uno studio apparso su Sports Medicine (Effect of Interval Training on the Factors Influencing Maximal Oxygen Consumption: A Systematic Review and Meta-Analysis) le corse lunghe allenano il cuore, gli sprint i muscoli. O per meglio dire: gli allenamenti di endurance provocano più adattamenti a livello centrale, quelli brevi e intensi a livello periferico. Ma andiamo per ordine.

Le corse lunghe allenano il cuore, gli sprint i muscoli: la ricerca

Il titolo della ricerca, che è una revisione di studi precedenti, dice già qual era il focus: il massimo consumo di ossigeno, ovvero la VO2Max. La VO2Max è, per definizione, “il massimo volume di ossigeno consumato per minuto (in millilitri) per chilogrammo di peso“, cioè sostanzialmente la capacità di cuore e vene di pompare sangue ai muscoli. Semplificando molto, è la misura universalmente riconosciuta del livello di forma cardiorespiratoria e aerobica individuale. Un parametro a cui chiunque faccia uno sport di resistenza – dalla corsa al ciclismo al nuovo – guarda con attenzione per valutare l’effetto dei propri allenamenti e il proprio stato di forma.Perché la corsa potrebbe far bene alle tue ginocchia
Però la VO2Max considera la capacità del cuore di pompare sangue e la capacità delle vene di trasportarlo, non la quantità di ossigeno che il nostro corpo è effettivamente in grado di utilizzare durante uno sforzo atletico.
Ed è qui che entra in gioco il cosiddetto principio di Fick, dal nome del fisiologo tedesco dell’Ottocento che per primo ha studiato i fenomeni di diffusione molecolare. Applicato in ambito di condizionamento atletico e allenamento il principio di Fick permette di calcolare la quantità di una sostanza contenuta nel sangue – cioè l’ossigeno – che viene persa durante l’attraversamento di un organo. Cioè quanto di quell’ossigeno che il cuore pompa e le vene trasportano è effettivamente assorbito dai muscoli. Cioè, secondo la legge di Fick ci sarebbe una quantità di ossigeno trasportato dal sangue che torna al cuore inutilizzato perché i tessuti muscolari periferici non sono in grado di assorbirlo nel momento del bisogno.

Questa incapacità dei muscoli di assorbire e utilizzare tutto l’ossigeno trasportato dal sangue, inficiando di fatto il parametro della VO2Max, è proprio ciò che hanno voluto indagare Michael Rosenblat della Simon Fraser University e altri studiosi dell’Università di Toronto e della Monash University nel loro studio, valutando per esempio la quantità e densità dei capillari nei tessuti periferici e la capacità dei mitocondri di stimolare efficientemente le contrazioni nelle cellule muscolari.

Lo studio su corse lunghe e sprint

Lo studio americano si è concentrato sugli effetti di due diverse tipologie di allenamento nella corsa: lo Sprint Interval Training (SIT) che prevede 30″ di lavoro alla massima intensità e recupero fino anche a diversi minuti, e il classico HIIT (allenamento a intervalli ad alta intensità) che prevede sforzi sub-massimali rispetto alla potenza aerobica massima (cioè la VO2Max) e recuperi di tempo variabile da 1′ a 5′. Nella loro revisione Rosenblat e colleghi non hanno considerato le prestazioni in sé ma gli adattamenti fisiologici, centrali e periferici. Cioè hanno analizzato quanto questi allenamenti influiscono tanto sulla capacità del cuore di pompare sangue e delle vene di trasportalo, quanto sulla capacità dei tessuti periferici di assorbirne e utilizzarne l’ossigeno prima che il sangue torni ai polmoni.

Ora, benché le due tipologie di allenamento non siano poi così diverse tra loro, tuttavia dalla revisione di Rosenblat emergono delle sostanziali differenze a livello di adattamento fisiologico. L’HIIT tenderebbe a far migliorare il condizionamento a livello centrale (cioè la capacità del cuore di pompare sangue) il SIT quello a livello periferico (cioè la capacità dei tessuti di assorbire e utilizzare l’ossigeno attraverso un aumento della densità dei capillari e un miglioramento della funzione mitocondriale).

Le corse lunghe allenano il cuore, gli sprint i muscoli

La revisione di Rosenblat confermerebbe quanto già scoperto da uno studio del 2011 della Western University (Run sprint interval training improves aerobic performance but not maximal cardiac output ) che aveva confrontato l’allenamento SIT con il jogging (corse da 30′ a 60′ a ritmo moderato): se entrambe le routine avevano generato miglioramenti simili nella VO2Max e nei test sulla distanza dei 2000 metri, il gruppo jogging / corsa lenta aveva migliorato la gittata cardiaca più di quanto fatto dal gruppo sprint.

Le conclusioni

La revisione di Rosenblat, lo studio di Rebecca E K Macpherson così come una ricerca di maggio 2021 su temi analoghi (Twelve weeks of sprint interval training increases peak cardiac output in previously untrained individuals) dimostrerebbero come gli allenamenti lunghi a ritmo moderato o lenti migliorerebbero la forma fisica a livello centrale (capacità del cuore di pompare il sangue e delle vene di trasportarlo) mentre quelli intensi e brevi migliorerebbero la forma fisica a livello periferico (capilarizzazione dei tessuti muscolari e funzioni mitocondriali). Non si tratta di adattamenti esclusivi ma prevalenti e quindi di una buona indicazione a sostegno di chi suggerisce sempre di variare i propri allenamenti, anche solo per favorire migliori e più ampi adattamenti fisiologici.

 

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