Comprare un paio di scarpe da running oggi è una delle cose più difficili del mondo. Basta entrare in un negozio specializzato e guardare l’espositore: decine di marchi, con decine di modelli, con decine di tecnologie che ti strizzano l’occhiolino e dicono “comprami comprami“. È la potenza del marketing, che da almeno 50 anni cerca in ogni modo di convincerti che quel modello, l’ultimo modello con l’ultima tecnologia, è assolutamente il migliore che puoi comprare. Diciamo 50 anni perché c’è una data precisa e un modello preciso con cui tutto questo è iniziato: il 1972 con le Nike Cortez. Prima di quella data e quel modello le scarpe da running erano sostanzialmente una suola in gomma con una tomaia di tessuto. Né più né di come le scarpe da basket erano le Converse All Star e le scarpe da pallavolo erano quelle che oggi sono le sneaker Onitsuka Tiger. Poi appunto arrivarono le Nike Cortez, quelle di Forrest Gump per capirci, le prime scarpe da running con la suola ammortizzata. Erano le prime scarpe da running comode e fu l’invenzione dell’idea di cushioning, o protezione del piede. Per chi non c’era basta guardare in giro tutte le sneaker vendute oggi come retrorunning per capire che, a inizio anni Settanta, fu un’autentica rivoluzione.
L’invenzione della protezione nelle scarpe da running
L’idea di marketing era potentissima: delle scarpe per correre che riducono gli infortuni, ammortizzando lo stress da impatto con la suola alta e quello sul tendine d’Achille con il drop. Cioè il tallone un po’ più in alto della punta. Fu un successo clamoroso, seguito praticamente da tutti i marchi che abbandonarono la sottile striscia di gomma per la “suola morbida in gomma”. In realtà era comparsa l’intersuola in EVA, ma a quel tempo si diceva appunto suola alta in gomma.
L’idea di proteggere i piedi e non solo dei runner con delle scarpe tecnologicamente specifiche per la corsa fu una leva di marketing potentissima, e molti biomeccanici si misero a studiare se fosse effettivamente vero.
Alan Nakkash, CC BY-SA 2.0, via Wikimedia Commons
Per esempio Peter Cavanaugh con il suo The Running Shoe Book che nel 1980 fece la checklist delle 23 caratteristiche che una scarpa da running doveva avere per essere davvero “protettiva”. Al tempo era la bibbia all’acquisto delle scarpe per correre.
La comparsa dell’idea di pronazione del piede
Intanto però era comparsa un’altra idea, quella della pronazione del piede. Cioè della rotazione verso l’interno del piede al momento dell’appoggio a cui venivano imputate le cause di quasi tutti gli infortuni dati dalla pratica della corsa. Era l’inizio degli anni Ottanta e i runner più attenti facevano il test dell’appoggio del piede e dell’arco plantare lasciando l’impronta bagnata sul pavimento o sulla sabbia della spiaggia. Il marketing aveva ormai diviso in 3 il popolo dei runner: quelli neutri, i pronatori e gli iperpronatori. Ed erano anche comparse le strutture rigide in materiale plastico all’interno dell’intersuola in EVA che promettevano di correggere la pronazione e l’iperpronazione controllando il movimento del piede e riducendo così gli infortuni.
Per 20 anni circa, fino all’inizio degli anni Duemila, la battaglia del marketing si giocò quindi tra ammortizzazione e stabilità, o correzione, con modelli ormai diventati leggendari come le Asics Gel Kayano giunte alla 28^ versione, le Mizuno Wave Rider giunte alla 25^ o le Nike Ais Pegaus giunte alla 39^.
Ma mentre il marketing combatteva questa battaglia gli scienziati ne verificano gli assunti, e il velo venne tolto all’inizio del nuovo millennio quando ormai numerose ricerche avevano dimostrato che non c’era nessuna correlazione tra la comparsa di questi modelli di scarpe e i tassi di infortunio tra i runner.
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Correre è un movimento naturale
Era (ri)comparsa l’idea che correre è un movimento naturale, assolutamente naturale, e non ha bisogno né di correzione né di ammortizzazione, né di stabilità né di protezione. Stava nascendo il movimento del natural running, che trovò la propria summa teologica nel libro Born to Run del 2009 di Christopher McDougall. A parte quelli che si improvvisarono novelli Abebe Bikila e si misero a correre a piedi nudi o quasi, per qualche anno la tendenza fu quella di ridurre al minimo l’altezza dell’intersuola ed eliminare il drop per favorire il naturale movimento del piede. Erano gli stessi anni del dibattito tra appoggio di tallone o di punta, di corsa con la rullata del piede o di avampiede, e le cose non migliorarono dal punto di vista degli infortuni tanto che il movimento del minimal running rimase una nicchia di mercato. La stragrande maggioranza dei runner continuò ad acquistare scarpe ammortizzanti o stabili come le Brooks Adrenaline giunte oggi alla 22^ edizione.
Rompere gli schemi
Intanto però con il natural o minimal running il trentennale paradigma dicotomico tra ammortizzazione e stabilità era stato rotto e nuovi marchi, con nuovi modelli e nuove tecnologie o soluzioni stavano comparendo all’orizzonte. È il periodo in cui compaiono per esempio le Hoka, con le loro suole maxi, e le Altra, con la soluzione widetoe in punta, niente drop ma ammortizzazione come poi le Topo Athletic. Era comparso il dibattito tra suola alta o bassa nelle scarpe da running. Ma soprattutto è il periodo in cui comprare il Boost di Adidas, che prometteva una cosa diversa da protezione, stabilità e riduzione degli infortuni: prometteva di farti andare più forte. Il comportamento dell’intersuola Boost era ed è tale da non dissipare le forze di impatto al suolo del piede ma anzi di restituirle come un surplus di energia in grado di far correre più veloce chiunque.
Dalle scarpe da running energizzanti alle super scarpe con la piastra
Erano nate le scarpe da running energizzanti, e verità o suggestione che fosse, ai runner non pareva vero di avere finalmente ai piedi la realizzazione del proprio sogno: un paio di scarpe che facevano andare più veloce. Nel giro di un paio di collezioni praticamente ogni marchio aveva la propria tecnologia tale da garantire un ritorno di energia, di far abbassare i propri tempi, di ridurre la fatica e di far correre più a lungo e più veloce. Perfino marchi che avevano legato il proprio nome alla protezione (come Asics con il gel) o alla stabilità (come Brooks) introdussero scarpe senza gel, o senza motion control, in favore di spinta e ritorno di energia.
Ma la storia non era finita, e la nuova frontiera del marketing era diventato il tentativo di abbattere uno degli ultimi muri simbolici dello sport: correre una maratona, o la distanza di una maratona, in meno di 2 ore.
Nike ci provò sul circuito di Monza con Eliud Kipchoge. Ma soprattutto ci provò con un paio di scarpe da running che poi vennero commercializzate come VaporFly 4% con la promessa di migliorare l’economia di corsa proprio del 4%. Promessa mantenuta, come verificarono numerosi studi scientifici stimolati da quel numero così preciso e iconico.
Erano comparse le scarpe da running con la piastra in carbonio, o “con il tacco” come dicono alcuni, e quando Kipchoge effettivamente corse la distanza della maratona in meno di 2 ore e poi stampò un incredibile record in gara. l’argine era rotto: praticamente ogni marchio di scarpe da running si lanciò nella corsa alla piastra in carbonio che era la garanzia di correre ancora più veloce, ancora più a lungo, con ancora meno fatica.
Le scarpe da running comode sono le migliori che puoi comprare
Ecco, oggi quando entriamo in un negozio di scarpe da running ci troviamo davanti la sedimentazione di tutta questa storia. Modelli ammortizzanti, modelli stabilizzanti, modelli energizzanti, modelli natural, modelli con la suola maxi, con la punta larga, con il drop e senza drop, con l’intersuola che restituisce energia e con la piastra in carbonio. E la domanda che ci si pone è molto semplice: qual è il miglior paio di scarpe da running che posso comprare?
La risposta è molto più semplice di quanto si creda: le scarpe da running comode sono le migliori che puoi comprare. Comode nel senso dello studio del 2015 di Benno Nigg (Running shoes and running injuries: mythbusting and a proposal for two new paradigms: ‘preferred movement path’ and ‘comfort filter’), uno dei massimi esperti mondiali di biomeccanica e professore all’Università di Calgary: non comode perché calzano bene ma comode perché lasciano che il piede appoggi dove deve appoggiare e come deve appoggiare secondo le uniche e univoche caratteristiche individuali, rotola come deve rotolare, ti lascia percepire la connessione a terra nel modo più naturale e fluido per te e interagiscono con te facendo una cosa semplice e cruciale: rendono piacevole la tua corsa.
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